Paradise Broken: crimini ambientali fra Albania e Sardegna
Ci sono luoghi che un tempo erano un paradiso, fino a quando non sono stati sfregiati, per avidità, dall’uomo. Paradisi martoriati, danneggiati da attività locali spesso “trascurate” dalla comunità internazionale e, a cascata, dall’opinione pubblica.
Minacce emergenti che vanno ad aggiungersi ad altri crimini ambientali come lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi, disboscamento illegale e il commercio, anche questo illegale, di flora, fauna e sostanze chimiche inquinanti controllate.
Di questo parla Paradise Broken, indagine giornalistica su storie di crimini ambientali in Sardegna e Albania con fotografie di Riccardo Venturi, vincitore di svariati premi fra cui il prestigioso World Press Photo, e video reportage e testi di Lorenzo Colantoni, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali con interessi anche in ambito giornalistico. Il progetto è frutto della collaborazione fra l’Associazione Akronos e l’Istituto Affari Internazionali. “Le coste incontaminate della Sardegna e le foreste primordiali dell’Albania” spiegano gli autori “sono più simili di quanto si possa immaginare: entrambe sono minacciate da crimini commessi dall’uomo contro l’ambiente. Sardegna e Albania sono, in un certo senso, broken paradise: terre di straordinaria bellezza ferite dalle mani dell’uomo”.
L’immagine di copertina, del novembre 2018, ritrae i fanghi rossi di Portoscuso, in provincia di Carbonia-Iglesias, con “venti milioni di metri cubi di residui tossici di bauxite, frutto della fusione dell'alluminio nelle vicine fabbriche”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Portoscuso, fanghi rossi © Riccardo Venturi
Furtei, nella provincia del Medio Campidano, in Sardegna è stata segnata dalla vicenda di una miniera d’oro abbandonata dopo tante promesse a colpi di ricchezza e sviluppo. È la storia della Sardinia Gold Mining, con i tre top manager, quindi raggiunti da una richiesta di rinvio a giudizio, che, sfumato l’affare, avevano abbandonato la zona senza preoccuparsi di decontaminarla dopo la chiusura della miniera. Della bonifica s’è dovuta incaricare la Regione Sardegna.
L’immagine, del novembre 2018, ritrae parte del materiale di scarto dell’ex miniera “contenente probabilmente una piccola percentuale d'oro, ma anche di metalli potenzialmente tossici, come il cadmio e lo zinco”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Ex miniera d’oro di Furtei, materiale di scarto © Riccardo Venturi
Furtei, nella provincia del Medio Campidano, in Sardegna è stata segnata dalla vicenda di una miniera d’oro abbandonata dopo tante promesse a colpi di ricchezza e sviluppo. È la storia della Sardinia Gold Mining, con i tre top manager, quindi raggiunti da una richiesta di rinvio a giudizio, che, sfumato l’affare, avevano abbandonato la zona senza preoccuparsi di decontaminarla dopo la chiusura della miniera. Della bonifica s’è dovuta incaricare la Regione Sardegna.
L’immagine, del novembre 2018, ritrae “una veduta del bacino di sversamento dell’ex miniera” dove “continua ad accumularsi il materiale di scarto derivato dagli scavi portati avanti fino al 2008 in quest’area. Con il depositarsi progressivo di acqua piovana, si è formato un piccolo lago altamente contaminato dal cianuro”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Ex miniera d’oro di Furtei, veduta del bacino di sversamento © Riccardo Venturi
L’immagine, del novembre 2018, ritrae Bruno Calabrò, agente di vigilanza territoriale e protezione civile, tra le reliquie dell’area industriale di Portoscuso, in provincia di Carbonia-Iglesias, in Sardegna, mentre s’aggira le fabbriche e l’ex centrale a carbone.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Bruno Calabrò nell’area industriale di Portoscuso © Riccardo Venturi
L’immagine, del novembre 2018, ritrae Bruno Calabrò, agente di vigilanza territoriale e protezione civile di Portoscuso, in provincia di Carbonia-Iglesias, in Sardegna, area colpita da gravi episodi d’inquinamento industriale, mentre s’aggira fra i cespugli, dove da tempo “vengono abbandonate tonnellate di rifiuti industriali e domestici”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Bruno Calabrò tra i rifiuti di Portoscuso © Riccardo Venturi
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Bruno Calabrò nell’area industriale di Portoscuso © Riccardo Venturi
In Albania il rispetto dell’ambiente era un concetto estraneo anche ai tempi della Repubblica Socialista Popolare. Caduto il regime comunista, la piaga s’è estesa: “Il paesaggio primordiale dell’Albania” denunciano gli autori di Paradise Broken “fatto di foreste, montagne e fiumi, continua ad essere minacciato mentre il paese continua a rimanere su un percorso di sviluppo piuttosto insostenibile. Le montagne sono state sfregiate alla ricerca di petrolio e metalli come il cromo e il ferro, il suolo è stato contaminato dalla degenerazione di discariche illegali e i fiumi sono stati erosi a causa della brama di materiali da costruzione”.
L’immagine, del novembre 2018, ritrae un pastore di tacchini tra i rifiuti di una vicina fabbrica di ferrocromo e che ancora contengono “notevoli quantità di minerali che contaminano il terreno e i canali vicini”. La zona è quella dell’area industriale di Elbasan, “città già povera e inquinata”, dove sono stati registrati smaltimenti illegali “in canali o discariche a cielo aperto dei detriti di una raffineria di ferrocromo inaugurata negli anni Ottanta”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Pastore di tacchini ad Elbasan © Riccardo Venturi
In Albania il degrado industriale non è solo dovuto al comparto petrolifero. Ne sa qualcosa Elbasan, “città già povera e inquinata”, dove sono stati registrati smaltimenti illegali “in canali o discariche a cielo aperto dei detriti di una raffineria di ferrocromo inaugurata negli anni Ottanta”.
L'immagine, del novembre 2018, contiene una veduta della città di Elbasan con vista, a sinistra, della zona industriale abbandonata e a destra di alcune fabbriche “ancora in funzione, probabilmente dagli anni ’60”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Elbasan, veduta © Riccardo Venturi
Kuçovë è un luogo spettrale, con i pozzi di petrolio, molti degli anni ‘60 “nel centro della città” e le coltivazioni “irrigate da canali di acqua nera”, con l’aria tutt’intorno “estremamente inquinata” che “profuma di gas e petrolio greggio”. I suoi pozzi petroliferi, che fanno parte “del più grande giacimento petrolifero onshore in Albania e uno dei più grandi in Europa” furono acquisiti nel 2008 dalla compagnia canadese Bankers Petroleum, nel 2016 passata alla cinese Geo-Jade Petroleum, con la prima, ricordano gli autori del documentario, condannata dal governo albanese per “evasione fiscale” e indagata per “eruzioni legate alle esplorazioni di scisto in un villaggio vicino”.
L’immagine, del novembre 2018, ritrae uno dei canali di Kuçovë, a testimonianza che le fuoriuscite dei pozzi “sono frequenti vicino alle case e ai campi”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Kuçovë, canale inquinato © Riccardo Venturi
Quella delle discariche illegali è una piaga irrisolta dell’Albania dopo la caduta del regime comunista: “Chiusi a Berat” così gli autori di Paradise Broken “i rottami e i detriti della raffinazione della pietra giacevano sulle rive di un fiume, mentre i fumi della combustione dei rifiuti contaminavano l’aria di un’altra discarica illegale nei pressi del lago Zagraçe”.
L’immagine, del novembre 2018, ritrae la discarica illegale nei pressi del lago Zagraçe “di fronte al villaggio di Halil e, un po’ più lontano, alla storica città di Krujë, una delle più famose destinazioni turistiche dell’Albania”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Discarica illegale vicino al lago Zagraçe © Riccardo Venturi
In Albania anche i letti dei fiumi subiscono danni per mano dell’uomo, come il letto del fiume Mat, nei pressi della città di Milot, nell’Albania centrale. L’immagine, del novembre 2018, testimonia la portata dell’offesa al fiume: “Gli scavi frequenti ed incontrollati lasciano segni evidenti” così gli autori di Paradise Broken “la mancanza di ghiaia rende l’acqua fangosa e aumenta la potenza della corrente del fiume, danneggiando sia l’ecosistema che le strade ed i ponti vicini”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Letto del fiume Mat © Riccardo Venturi