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“Il Giardino dei Finzi Contini”, la versione cinematografica e il finale “sbagliato”: perché Giorgio Bassani contestò la pellicola

Il film, nato dal romanzo semiautobiografico scritto da Bassani, non doveva concludersi con la deportazione dei protagonisti, ma con la testimonianza di chi sopravvive

Il Giardino dei Finzi Contini la versione cinematografica e il finale sbagliato perché Giorgio Bassani contestò la pellicola
di Gabriella Carmagnola

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Entriamo in scena un momento prima del baratro, in una villa meravigliosa e nobiliare, di proprietà di una famiglia ebrea molto ricca e colta. Estate 1938, a Ferrara, prima che le leggi razziali di Hitler, applicate per intero anche in Italia, rivoltino la Storia e le vite. “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani (1962, Mondadori), romanzo semiautobiografico, considerato un capolavoro della letteratura italiana, è insegnato a scuola. Micol e Alberto Finzi-Contini, invitano nella loro villa gli amici, sono infatti espulsi in quanto ebrei dal loro circolo sportivo. Partite a tennis, libri, discorsi sul mondo, flirt. Il tempo pare sospeso, scivolano piano verso l’orrore e quasi non se ne accorgono. L’amico di casa, che è l’io narrante, è innamorato di Micol, che lo rifiuta, forse un presagio di ciò che sta per accadere: “Anche le cose muoiono, caro mio. E dunque, se devono morire, tant’è, meglio lasciarle andare. C’è molto più stile, oltre tutto, ti sembra?”

Il libro vince il Premio Viareggio, poi nel ‘70 un film diretto da Vittorio de Sica, con una splendida Dominique Sanda, sogno di una generazione di ragazzi, Helmut Berger, Romolo Valli. Pluripremiato: Oscar per il miglior film straniero, Orso d’oro e tanti altri. Ma quando Giorgio Bassani lo vede chiede subito di ritirare la sua firma dalla sceneggiatura: non abbastanza tragico e poi con un finale sbagliato.

Per Bassani il film non deve finire con la deportazione dei protagonisti, ma con la testimonianza di chi sopravvive. Ha scritto il libro per questo. E per fare comprendere quell’essere integrati eppure sentirsi diversi: “Che razza di persone si erano ficcati in mente di essere diventati? Dei veri nobili? (…) si fossero montati a loro volta la testa? (…) Altro che aristocrazia! Invece di darsi tante arie, avrebbero fatto assai meglio, almeno loro, a non dimenticare chi erano, di dove venivano, se è positivo che gli ebrei – sefarditi e ashkenaziti, ponentini e levantini, tunisini, berberi, yemeniti, e perfino etiopici – in qualunque parte della terra, sotto qualsiasi cielo la Storia li abbia dispersi, sono e saranno sempre ebrei, vale a dire parenti stretti”.

27/10/2023