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"n-Ego", il viaggio introspettivo di Eleonora Danco in cerca di autenticità

"La forza del film credo sia nella sua apparente casualità. Come fosse un sogno, le immagini si susseguono, ma in realtà tutto è stato frutto di un dettagliato studio"

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n-ego, film di eleonora Danco
di Redazione Milleunadonna

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Si intitola “n-Ego” ed è il nuovo film di Eleonora Danco, attrice e regista teatrale e cinematografica.  Dopo la presentazione in Concorso al Torino Film Festival, “n-Ego”, secondo film di e con Eleonora Danco, è uscito nelle sale e viene accompagnato dalla regista in un tour di presentazioni in giro per l’Italia.  Il film che vanta l’amichevole partecipazione, tra gli altri, di Filippo Timi ed Elio Germano, è un’esplorazione della condizione umana, un viaggio introspettivo attraverso le strade, dove la regista affronta una profonda crisi creativa ed esistenziale. In cerca di autenticità, si immerge in luoghi diversi, incontra personaggi unici che, con le loro storie, rispecchiano le sue paure e desideri. Ogni incontro diventa un riflesso dei suoi demoni interiori, trasformando le vite di questi individui in tessere di un mosaico emotivo. La regista, travestita da manichino dechirichiano, diventa simbolo di una società segnata dal tempo, in un contesto dove la quotidianità si fonde con l’onirico. 

Eleonora Danco, ci spiega il titolo del film e quella N davanti all’Ego?

“N- sono da una parte degli Ego all’infinito e dall’altra può essere anche letto come nego. Nello stesso tempo anche come una negazione dell’ego che facciamo su noi stessi, condizionati come siamo dal nostro inconscio e dalla nostra educazione”.

Come ha strutturato il film? È partita da una sceneggiatura precisa o aveva un canovaccio?

“Sono partita da un soggetto, un trattamento con cui ho vinto un bando al ministero e poi ho scritto la sceneggiatura. Non avendo ancora i personaggi del film, perchè molti sono stati scelti dopo aver consegnato la sceneggiatura, mi sono basata su delle tipologie che avevo in mente di cercare, come provenienza sociale, culturale ma soprattutto visiva. Alcuni li avevo intervistati appositamente, ma poi non li ho chiamati nel film. Molto è scaturito anche dalla mia fantasia, da immagini che mi venivano in mente, legate a stati d’animo sparsi nei diversi quartieri dove è ambiento il film. Ho utilizzato la sintesi di alcune loro storie, le immagini che mi avevano più colpita, facendole diventare cinema. La sceneggiatura è stata poi tradita sul set, ma ho cercato di far arrivare quei continui alti e bassi emotivi tra risate e dramma che ci sono nel film”.

Che cosa di ciò che è stato improvvisato l'ha colpita e perché?

“Era una continua invenzione, anche se tutto partiva da inquadrature scelte prima, studiate, costruite appositamente sui personaggi. La forza e il fascino del film sono anche la sua apparente casualità. Come fosse un sogno, le immagini si susseguono, ma in realtà tutto è stato frutto di un duro e dettagliato studio. Anche grazie a un incredibile lavoro di montaggio di Marco Tecce che ha creato un incastro incredibile con le immagini, dovendo scegliere tra tantissime ore di girato. E una scelta musicale da lui proposta che crea un incredibile rapporto ipnotico tra lo spettatore e il film”.

Il suo è un Cinema molto personale, ma ha dei riferimenti cinematografici e teatrali a cui in qualche modo si ispira?

“Ho dei riferimenti come tutti, degli artisti che hanno segnato la mia adolescenza e giovinezza quando ho scoperto Bùnuel, i Surrealisti, Fellini, Pasolini e Scorsese, i fratelli Coen, Dreyer, ma anche Shakespeare, Cecov o l’arte a cui mi ispiro sempre. In particolare, per questo film, a Paul Cézanne, Robert Rauschenberg e Giorgio De Chirico.