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L'incredibile storia di Dolly, la madre ligure di Frank Sinatra che vendeva alcolici e giocava d'azzardo. Il mistero della morte

Elegante, minuta ma durissima, visto che come metodo educativo usava il bastone, Dolly è stata la donna più importante nella vita di Frank, figlio unico. La sua morte in un incidente aereo mai chiarito: un caso Mattei a stelle e strisce

Foto Ansa

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C’è un racconto che dice tutto: nel 1987, Barbara Sinatra, quarta moglie di Frank, visita il piccolo paese di Lumarzo, in Val Fontanabuona, provincia di Genova, nell’entroterra di Chiavari, e la frazione di Rossi di Lumarzo, dove nacque Natalina Dolly Garaventa, che di Frank è la mamma. Nelle ore successive, una limousine con i vetri completamente oscurati attraversò le strettissime strade del paesino. E, ovviamente, anche se nessuno scese dall’auto, dietro ai vetri c’era lui, Frank, in lacrime per il primo ritorno al paese della mamma. La stessa cosa, praticamente in incognito, il mese scorso ha fatto Rachel con i nipoti di Frank.

La storia di Natalina

E, qui e ora, raccontiamo proprio la storia di Natalina Dolly Garaventa che partì da qui alla scoperta del mondo, in una zona da cui si emigrava alla ricerca dell’America, ma anche de La Merica, la terra promessa da cui sfuggire alla povertà ed è una storia molto istruttiva quando oggi si parla di immigrazione.

Il secolo, il Novecento, era agli albori e Dolly partì negli stessi anni in cui da qui si muovevano i nonni di Papa Francesco, Amadeo Peter Giannini che, da Favale di Malvaro, fondò la Banca d’America e d’Italia e fu il finanziatore decisivo per i capolavori di Frank Capra e Walt Disney, e da Cicagna, suor Blandina che, come abbiamo raccontato su Milleunadonna, ripercorrendo l’epopea e gli studi di Massimo Minella, Danila Suzzi e Sergio Maifredi, fu un’eroina nel West e se la vide da pari a pari con Billy The Kid.

Blandina rivoluzionaria religiosa e Dolly una rivoluzionaria laica

Ecco se Blandina fu una rivoluzionaria religiosa, Dolly fu una rivoluzionaria laica e la sua partenza da Lumarzo non fu semplicemente dettata dalla voglia di cercare fortuna oltreoceano, ma proprio dal fortissimo desiderio di indipendenza. Dolly infatti si era innamorata di un pugile siciliano di Lercara Friddi, “isola di Sicilia”, provincia di Palermo, Antonino “Marty” Sinatra, ma la famiglia di origine non era favorevole alla relazione. Allora lei prese e andò a sposarselo a Jersey City, in Comune, cosa rarissima per quei tempi. Poi, essendo la Fontanabuona, storicamente, non solo la valle più cattolica della Liguria, ma proprio di tutta Italia, più avanti le nozze vennero celebrate anche in Chiesa.

Ma l’indole ribelle non era finita

e in pieno periodo proibizionista Dolly e Marty aprirono un locale dove si servivano alcolici, protetti da alcuni pubblici ufficiali compiacenti e “amici”. Dolly era un’attivista democratica e una delle prime femministe a stelle e strisce, ma anche una giocatrice d’azzardo compulsiva che era meglio non incontrare al tavolo da gioco perché si arrabbiava moltissimo quando perdeva. Insomma, mamma Dolly aveva un caratterino e lo dimostrò anche alla nascita del piccolo Frank, anzi Francis, rimasto figlio unico, che pesava oltre sei chili ed ebbe un parto molto travagliato, tanto che venne estratto con un forcipe, che gli perforò il timpano e gli lasciò cicatrici indelebili sul corpo. 

Ma mamma Dolly fu decisiva anche per la carriera di suo figlio

Perché – mentre il papà gli diceva di andare a lavorare, “ma il mio lavoro è cantare papà”, “sì ma io intendo un lavoro vero” – lo incoraggiò sempre. Insomma, se Sinatra è stato Sinatra è stato merito di mamma Dolly. E i risultati si sono visti. Della visita di Frank a Lumarzo e a Rossi si è detto. E Natalina Dolly? Le memorie storiche del paese raccontano di una signora elegantissima che passò di qui negli anni Sessanta, quasi una bambolina. E del resto, il passaggio dal nome dell’anagrafe Natalina Maria Vittoria al soprannome Dolly nasceva proprio dal fatto di essere un personaggio da ammerica e da ammerecani. Tratti sottilissimi ed eleganti, misure mignon, meno di un metro e mezzo di altezza, modi da fare da bambolina. Tenerissima, ma anche durissima, visto che fra i metodi correttivi del piccolo Frank si ricordava anche il bastone.

E in questa storia c’è anche un giallo

Come spesso nella vita di Sinatra, con il rapporto con Marilyn, la gelosia di Joe Di Maggio, l’amicizia fortissima con JFK, i rapporti con gli italiani e le ombre di Cosa Nostra e tanto altro in una parabola a stelle e strisce che è, davvero, “My Way”, come confidò Frank a Paul Anka in un giorno di spleen da cui nacque la canzone più famosa al mondo. Insomma, il 6 gennaio 1977, un piccolo aereo decollato dall’aeroporto di Palm Springs e diretto a Las Vegas – dove Frank avrebbe cantato quella sera al Caesar Palace, l’albergo del paradiso del gioco d’azzardo che ospitò spesso anche i ring dei campionati mondiali di pugilato con i più grandi campioni, si schiantò su un crinale del Passo di San Gorgonio e sulle cause è sempre rimasto il giallo, un po’ come fosse un “caso Mattei” a stelle e strisce.

Ufficialmente, fu un errore di comunicazione fra la cabina di pilotaggio e la torre di controllo, con il pilota che non comprese le indicazioni che gli arrivavano da terra. Morirono i due piloti e i quattro passeggeri, compresa mamma Natalina Dolly che aveva ottant’anni. Da quel momento, se possibile, il legame di Frank con le sue radici e quelle della mamma (restò invece sempre abbastanza indifferente ai natali del papà siciliano), si rafforzò: poco tempo dopo, ancora al Caesar Palace, Frank volle un concerto in memoria della mamma, che raccolse sei milioni di dollari devoluti in beneficenza, e il momento più commovente fu ovviamente il minuto di silenzio che mise insieme mamma Dolly e Elvis, che era appena morto. 

Il tour in Italia

E nel 1987, quando venne in un un tour in Italia Frank impose Genova fra le tappe, suonando al Palasport – che, nonostante un’acustica pessima, aveva ospitato anche i Beatles – e poi a Santa Margherita Ligure al Covo di Nord Est, sancendo così il definitivo trionfo di quegli anni e di Lello Liguori. Come Fabrizio De André, Sinatra era genoano, tanto da dare disposizioni di essere sepolto con la cravatta rossoblù, ma soprattutto golosissimo di pesto: nel 1976 al Madison Square Garden, dopo il mondiale dei sogni Benvenuti-Griffith, incontrò Luciano “Zeffirino” Belloni che gli fece provare il suo pesto e se ne innamorò, tanto che sei anni dopo arrivando in Italia insieme a sua moglie Barbara e a Roger Moore, come prima cosa chiese di andare a mangiare dall’amico Zeffirino, che ogni due mesi gli mandava la fornitura del prezioso condimento genovese a Malibù. E poi ha continuato a farlo per centinaia di vip, a partire dal Papa.

Un giorno Zeffirino andò a portarglielo direttamente nella villa di Palm Springs e ricorda: “Al centro del suo studio c’era un enorme mappamondo. E seduti a tavola Donald Trump, Ronald Reagan, George Bush…” Oppure – come racconta Mauro Boccaccio nel suo bellissimo “Frank Sinatra è mio figlio” (De Ferrari editore) - quando Giampaolo Belloni, un altro della dinastia Zeffirino volato a New York per portare il basilico a Frank, fu fermato in aeroporto e, conoscendo pochissimo lo slang dei poliziotti a stelle e strisce, rispose “yes” a 32 domande compresa quella sulla tossicità e sulle capacità allucinogene delle piantine di basilico.

E fu rilasciato solo dopo qualche ora, in nome del pesto. Ecco, Zeffirino oggi è qui, nel suo ristorante, insieme al sindaco di Lumarzo Daniele Nicchia, a presentare una nuova edizione di “Hello Frank!” e “Hello Dolly!”, che si svolgeranno giovedì sera a Lumarzo e sabato pomeriggio a Rossi, ai lavatoi dove i nonni di Frank facevano il bucato, con la direzione artistica di Enrica Corsi e il ricordo anche degli ottant’anni di Lucio Dalla e Lucio Battisti. E ogni volta è una miniera di ricordi, di aneddoti, di storie. Come se Natalina non fosse mai partita e Dolly fosse tornata.

25/08/2023