Secondo un’indagine Facile.it, sei milioni di italiani hanno già iniziato lo shopping natalizio, e oltre un milione ha già addobbato casa. Ma se i negozi anticipano il Natale per spingerci a comprare, la domanda resta: perché lo facciamo anche noi, spontaneamente, ogni anno un po’ prima?
Già subito dopo Ferragosto sentiamo quel richiamo: il desiderio di buttarci sul divano a guardare Mamma ho perso l’aereo, bevendo cioccolata calda e mangiando biscotti allo zenzero. Forse perché abbiamo bisogno di qualcosa che ci scaldi, che ci distragga, che ci faccia sentire “dentro” un’atmosfera familiare e rassicurante. Il Natale, con le sue lucine e la sua estetica confortante, è una promessa di calore in un tempo che spesso ci appare freddo, incerto, caotico.
L'anticipo continuo toglie significato all'attesa
E allora anticipiamo. Non tanto il Natale in sé, ma la sensazione di Natale: quella tregua emotiva che ci illudiamo di poter prolungare iniziando prima. C’è però un rovescio della medaglia: l’anticipo continuo toglie significato all’attesa. Diventa corsa, non preparazione. Ansia, non desiderio. Facciamo liste, file Excel dei regali, il Natale si trasforma da momento da vivere in qualcosa da gestire, ottimizzare, programmare.
Sui social e sulle piattaforme, intanto, il bombardamento è totale: film, spot, pubblicità e “idee regalo”, ricette già da ottobre. Tutto ci dice: sii pronto, sii felice, sii in clima natalizio. Ma forse, dietro quella frenesia, c’è un bisogno più profondo: il desiderio di rallentare, di sentirci bene in un tempo che non ci concede più pause.
E poi, paradossalmente, arriva il 26 dicembre. E quella stessa magia che ci aveva riempiti, svanisce. Ci lascia una leggera malinconia, un senso di mancanza, quasi di vuoto. Come se tutto fosse finito troppo in fretta, come se l’attesa fosse stata più intensa della festa stessa.
Forse, più che anticipare il Natale, dovremmo imparare a riscoprire l’attesa non per riempirla.