Ragni giganti s’aggirano per Genova. Ragni enormi, colorati, in fila indiana, ammassati, arrampicati su colonne, abbarbicati alle facciate degli edifici. Un’invasione di ragni, ma sono solo sculture. Sono i ragni, realizzati con materiali di riciclo, di ARACNOMACHIA, altra installazione di REUSE [re-use], concorso nazionale per giovani artisti per il riuso creativo della plastica, un’iniziativa con fra i promotori Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova.
ARACNOMACHIA è un’installazione urbana, che da Palazzo Ducale arriva a Palazzo Verde attraverso via San Lorenzo e via Turati, realizzata da LABADANzky, collettivo di giovani artisti genovesi. Top secret sui loro nomi. E così, incuriositi, abbiamo cercato i creatori di questi ragni così particolari. Insomma, perché questi ragni? La scelta, spiega una voce del collettivo, è ricaduta su una “forma aracnoide o insettoide per integrare il senso di invasione promulgata da parte del moderno concetto di rifiuto, e non di meno da parte degli stessi oggetti rifiutati o rifiutandi, all’interno della realtà culturale contemporanea. Essendo ragni ed insetti creature infestanti per natura, abbiamo ritenuto rappresentassero efficacemente questo pensiero”.
L’idea – come spiega, ad esempio, il concept del progetto – è, infatti, “legata alla sovrapproduzione di materiali, conseguenza del consumo di massa imposto da un sistema di condizionamenti mediatici e di imitazione sociale caratterizzante il nostro periodo storico. L’estremo consumo assume una logica dettata dal desiderio e non dal bisogno; se le risorse sono limitate e siamo sommersi dai rifiuti, i prodotti usa e getta devono lasciare il posto ai prodotti usa e riusa”.
Il collettivo, nato nel 2011, usa unicamente materiale riciclato, ormai alla base del 90% della materia prima utilizzata per i suoi progetti. Un percorso consapevole, sin dalla sua nascita dopo gli studi all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova: “Formammo il collettivo LABADANzky con la semplice e primordiale intenzione di catalizzare abilità e mezzi individuali per poter realizzare progetti artistici più ambiziosi e complessi, principalmente nell’ambito dell’arte concettuale e della street art. Nell’arco di pochi mesi iniziammo a interessarci alle tematiche relative all’arte Relazionale, le quali, unite alle metodologie espressive riconducibili alla street art e site specific ci hanno spinto alla produzione quasi seriale di oggetti estranianti da collocare sul territorio urbano. Oggetti che, utilizzando elementi e materiali tipici del contesto cittadino, quali cemento, metallo, segnaletica stradale, luci semaforiche eccetera, catturassero l’attenzione e la curiosità del passante interrompendo il continuum spaziale e concettuale del tessuto urbano e sollecitando interrogativi sul perché della loro collocazione e su quale sia il significato che racchiudono”.
Nascono, così, i primi “oggetti estranianti”, essenzialmente un “esercito di buffe creature: orsacchiotti, incerti pupazzoidi malinconici e strane creaturine di sorta, realizzati a mano, in cemento armato tramite colatura in stampi appositamente realizzati, di dimensioni comprese tra i 30 e i 150 cm. Dipinti a mano, a pennello ed aerosol, venivano assicurati agli elementi di segnaletica verticale tramite catenacci e lucchetti. Nell’arco dell’anno vennero prodotti 313 pezzi che vennero distribuiti in ambito urbano genovese in un area compresa tra Pegli, Nervi e Staglieno, con alcuni spin off a Torino, Alessandria e Livorno. In seguito la struttura delle installazioni mutò attorno alle esigenze creative dei membri del collettivo: cominciarono a prendere sembianze sempre più robotiche e dimensioni più imponenti.
Fino a quando non cambiano i materiali impiegati: “Iniziammo ad utilizzare materie prime più immediate, leggere e soprattutto altamente riciclabili, quali cartone, pvc, nylon, eccetera, opportunamente trattati per resistere agli agenti atmosferici pur mantenendo le loro modalità espressive. Questo processo di osmosi culturale con la struttura stessa della città, si è plasmato e modificato da un’installazione all’altra fino a creare l’attuale modus espressivo che ci contraddistingue”.
Ad oggi le produzioni di LABADANzky sono costituite, prevalentemente, da “esseri robotici di grandi dimensioni, da scala umana in su”, nonché da “accessori ammiccanti a tecnologie bellico/futuristiche, applicate agli elementi di segnaletica orizzontale tramite un semplice ma robusto sistema ad incastro e, nel caso delle installazioni più voluminose, un elementare telaio interno in legno che conferisce staticità, stabilità e resistenza alle condizioni atmosferiche, pur non lasciando alcuna traccia di sé dopo l’eventuale rimozione”.
Nonostante il suo modus operandi l’abbia spesso reso “inadatto ai convenzionali spazi dell’arte”, negli ultimi anni LABADANzky ha partecipato a bandi di concorso ed esposizioni, nonché a collaborazioni con enti artistici e culturali, case produttrici di giocattoli.
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