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Brexit ed embargo russo: le conseguenze per l’agroalimentare italiano

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I britannici sono stati i primi. Mentre a Bruxelles si temono altri strappi, in Italia si calcolano le conseguenze della Brexit sull’agroalimentare. Secondo le stime di Coldiretti l’export italiano rischia perdite per 3,2 miliardi di euro. Tra gli effetti del referendum voluto da Londra c’è, infatti, la svalutazione della sterlina con la conseguenza che per i britannici sarà ora “più caro” comprare prodotti stranieri, in particolare italiani di cui sono grandi estimatori: vino, pasta, ortofrutta, formaggi. Fino ad oggi, ricorda Coldiretti, la Gran Bretagna era il “quarto sbocco estero dei prodotti agroalimentari nazionali Made in Italy”. Il vino, ad esempio, nel 2015 l’esportazione è stata di 746 milioni di euro, con un incremento del 7% nel primo semestre del 2016. Molto apprezzato lo spumante, in particolare il prosecco: 275 milioni di euro quello esportato nel 2015, con un aumento del 55% nel 2016. 57 milioni di euro, invece, l’export dell’olio di oliva, con un aumento del 14% nel 2016. Né poteva mancare la pasta, con un export, nel solo 2015, di 332 milioni di euro. Considerevole l’export dei prodotti ortofrutticoli: 281 milioni di euro nel 2015 con un incremento del 6% nel primo trimestre del 2016. 200 milioni, infine, l’export dei formaggi, con un aumento del 15% nel primo trimestre dello stesso anno. Molto richiesti Parmigiano Reggiano Dop, Grana Padano Dop e Mozzarella di Bufala Campana Dop.

C’è il rischio che i consumatori britannici, non potendo più acquistare, per ragioni di portafoglio, prodotti originali, dirottino il carrello della spesa verso falsi prodotti Made in Italy? Nomisma, la società bolognese di studi economici, pur non nascondendo le difficoltà cui andrà probabilmente incontro, ad esempio, il comparto vinicolo, pensa che dopo la Brexit il mercato britannico possa continuare a rappresentare un’opportunità per i formaggi italiani. Le previsioni si basano su una survey condotta da Agrifood Monitor, piattaforma informativa sulla filiera agroindustriale nata dalla collaborazione fra Nomisma e Crif, su un campione di circa 1.100 consumatori d’Oltremanica “a ridosso del referendum”. Con questi risultati: i formaggi italiani preferiti sono mozzarella e Parmigiano Reggiano Dop, con il 42% degli intervistati che ha dichiarato di apprezzarne “l’unicità di gusti e sapori”, il 29% la “tradizionalità del processo produttivo” quindi, il 18%, il “buon rapporto” qualità-prezzo. Un mercato, quello britannico, per Nomisma, da “presidiare” e su cui “investire”, senza sottovalutare, tuttavia, quello che, in particolare dopo la Brexit, è considerato il più grande degli ostacoli: l’etichettatura a semaforo o traffic light labelling che già in passato ha avuto conseguenze negative sui prodotti italiani e comunitari, ciò ch’era valso a Londra l’avvio di un procedimento d’infrazione, ma che ora,  con la Gran Bretagna fuori dai giochi di Bruxelles, rischia di diventare lettera morta. 

Un rischio riconosciuto anche da Coldiretti: “A preoccupare non è solo la svalutazione della sterlina che rende più oneroso l’acquisto di prodotti Made in Italy ma anche il rischio che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole alle esportazioni agroalimentari italiane. Ad esempio si dovrà verificare il destino a livello comunitario della procedura in corso per fermare le etichette a semaforo che la Gran Bretagna ha deciso di far adottare al 98% dei supermercati inglesi (sic) nonostante si tratti di un ostacolo alla libera circolazione delle merci che sta mettendo in pericolo alcuni settori cardine dell’export Made in Italy”. 

E che il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali aveva a sua volta riconosciuto come un sistema che non informa i consumatori, tanto da chiederne lo stop con altri 15 paesi comunitari.

L’etichetta a semaforo è stata introdotta nel Regno Unito nel 2013. Si tratta, in pratica, di un sistema a bollini colorati di color rosso, verde e giallo, raccomandato dal Ministero della Salute britannico, con informazioni su calorie, grassi, zuccheri e sale per 100 gr di prodotto, con il bollino rosso che indica alte concentrazioni, quello verde basse, quello giallo quantità intermedie. Un meccanismo di classificazione nutrizionale, giudicato fuorviante, che penalizza prodotti in realtà benefici come l’olio extravergine di oliva, ricco di acidi grassi insaturi e sostanze antiossidanti, il Parmigiano Reggiano Dop, ricco di calcio e vitamine, il tonno, ricco di acidi grassi polinsaturi essenziali Omega3 e Omega6, promuovendo, al contrario, come per prodotti dolciari e bevande, l’uso di dolcificanti sintetici.  

Tempo fa Nomisma ha condotto un’indagine su Prosciutto di Parma Dop, Parmigiano Reggiano Dop e Brie francese immessi nel mercato britannico con etichetta a semaforo. Con quali risultati? Con un calo di vendite dell’8% per il Brie, del 14% per il Prosciutto di Parma Dop e del 13% per il Parmigiano Reggiano Dop. Il bollino rosso, come evidenziato da un sondaggio di YouGov, è interpretato da 7 consumatori britannici su 10 come un invito a “non comprare”, piuttosto che “da consumare con moderazione”. Né è un caso che gli stessi prodotti, immessi sul mercato privi dell’etichetta a semaforo, abbiano al contrario registrato buone vendite. “L’indagine Nomisma sull’etichetta a semaforo” così il ministro Maurizio Martina “conferma le nostre perplessità ed evidenzia le distorsioni provocate sul mercato inglese. È un sistema che non promuove una dieta sana e un equilibrio nello stile alimentare, classificando i cibi con parametri discutibili e approssimativi.Possibile che un litro di latte intero inglese abbia il bollino rosso, mentre una soda light con dolcificante sintetico li abbia tutti verdi? Un paradosso che spiega bene come questo non sia uno strumento per tutelare la salute dei consumatori. È inammissibile che prodotti di qualità certificata Dop e Igp siano classificati con semaforo rosso, così come succede con altri alimenti che fanno parte della dieta mediterranea, come il pesce e l’olio d'oliva, o della grande tradizione dolciaria italiana”.

Non solo Brexit, il comparto ortofrutticolo italiano continua a fare i conti anche con l’embargo russo sui prodotti italiani a seguito della sanzioni comminate a Mosca da Bruxelles. In virtù di un regolamento della Commissione Europea, in vigore del 1° luglio, su misure di sostegno, operazioni di ritiro, mancata raccolta e raccolta prima della maturazione, a ogni stato membro è stato assegnato un quantitavo di prodotti da ritirare. L’Italia dovrà ritirare 13.900 tonnellate di prodotti: 5.300 fra mele e pere, 4.600 fra prugne, uva da tavola e kiwi, 200 fra pomodori, carote, peperoni, cetrioli e cetriolini, 1.000 fra arance, clementine, mandarini e limoni, 2800 fra pesche e nettarine. Un provvedimento tempestivo per Coldiretti, critica tuttavia con il taglio del 70% ai quantitativi assegnati e la parzialità della lista dei prodotti, nonché con le “indennità di ritiro” ancora “al di sotto dei costi di produzione” e le misure “inadeguate” per contrastare la chiusura del mercato russo.

 

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