Nei ghiacciai c’è più vita di quanto si pensasse. La scoperta – pubblicata come Light-dependent microbial metabolism drive carbon fluxes on glacier surfaces su The ISME Journal, rivista di ecologia microbica della galassia di Nature – è italo-tedesca. Il team di ricerca, coordinato da Andrea Franzetti e Roberto Ambrosini del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio e Scienze della Terra della Università degli Studi di Milano-Bicocca, era composto anche da ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra Ardito Tesio della Università degli Studi di Milano e della Bayerische Akademie der Wissenschaften. Andrea Franzetti è un esperto di biorisanamento di suoli acquiferi e contaminati, ecologia microbica, ruolo e applicazioni di tensioattivi di origine biologica, mentre Roberto Ambrosini si occupa di etologia, distribuzione spaziale degli organismi e connettività migratoria. Focus dello studio il ghiacciaio dei Forni, in Lombardia, e del Baltoro, nel Kashmir, sul versante pakistano, nel gruppo montuoso del Karakorum, a nord ovest dell’Himalaya. Ecosistemi diversi tra loro: il primo, negli ultimi decenni si è ritirato, mentre il secondo, in controtendenza in tempi di global warming, ha visto aumentare la propria superficie ghiacciata e diminuire di 1,5° C la temperatura media, tanto da far parlare di anomalia del Karakorum. K2 MAGNETICO e l’anomalia del Karakorum è, ad esempio, il titolo dell’evento organizzato lo scorso novembre dal Palazzo Ducale di Genova con una mostra dedicata alle esplorazioni dal 1900 al 1954, anno della scalata del K2, all’alpinismo di ricerca e al Central Karakorum National Park, nato grazie al contributo di Ev-K2-CNR e Cooperazione Italiana allo Sviluppo.
L’enigma del Karakorum è stato illustrato tempo fa, ad esempio, da Jacopo Pasotti, comunicatore scientifico e giornalista con un passato da geologo: “L’origine del sistema Hindu Kush-Karakorum-Himalaya si deve allo scontro tra due possenti masse continentali (India ed Eurasia). L’incastro tra le due placche ha prodotto una delle catene più elevate del pianeta: bastioni verticali di solida roccia ricoperti di ghiaccio e neve, tagliati da valli aride ma puntellate da oasi. Nel Karakorum, in particolare, si trovano 5 delle 14 cime più alte della Terra e centinaia di ghiacciai il cui comportamento è ancora da chiarire. L’espressione ‘anomalia del Karakorum’ è stata coniata nel 2005 dal glaciologo canadese Ken Hewitt, colpito dall’eccezionalità di questi ghiacciai. E mentre la comunità internazionale di glaciologi e climatologi si interroga sul significato dell’anomalia gli scettici del cambiamento climatico hanno sfruttato il caso del Karakorum per attaccare i rapporti dell’IPCC. Considerata anche l’importanza geopolitica della regione (le aree settentrionali del Pakistan sono ancora contese con l’India e con la Cina, mentre al confine afghano sono frequenti le incursioni talebane) scienziati e politici concordano nel dire che c’è urgenza di capire i cambiamenti ambientali che avvengono nella regione. Per svelare il meccanismo dell’anomalia del Karakorum, però, servono altri dati, nuovi studi. Bisogna capire se i ghiacciai sono stabili, se avanzano o se addirittura la stabilità è solo apparente, e in realtà si stanno ritirando. C’è urgenza insomma di spiegare l’anomalia del Karakorum, e soprattutto di chiarirne il significato da un punto di vista climatico globale”.
Nel frattempo, come testimoniato dalla scoperta del team italo-tedesco, si sa che sul ghiacciaio del Forni e quello del Karakorum c’è più vita. I ricercatori hanno scoperto, cioè, che i metabolismi batterici che vi regolano la vita sono quattro, non più due e quindi respirazione, fotosintesi ossigenica, un metabolismo fotosintetico che non produce ossigeno e ossidazione del monossido di carbonio. Una scoperta affascinante del mondo dei ghiacci che apre nuovi scenari. Se ad oggi si sapeva che con la fotosintesi ossigenica i microrganismi consumavano, per produrre ossigeno, anidride carbonica ed energia solare, producendo, con la respirazione, ossigeno e sostanza organica, ora si è scoperto un “diverso metabolismo fotosintetico” che non produce ossigeno e che vede alcuni microrganismi usare, per svilupparsi, la sostanza organica, ricavando energia dalla luce solare, quindi l’ossidazione del monossido di carbonio, utilizzato dai batteri per la loro crescita, risultato della degradazione della sostanza organica da parte “dell’intensa luce solare”. “Queste comunità batteriche” così, infatti, Andrea Franzetti “sono ancora più versatili di quanto ipotizzato sinora. La luce non permette solo la fissazione dell’anidride carbonica, ma supporta le esigenze energetiche di altri microrganismi tramite un processo di fotosintesi aerobica anossigenica. Dove la radiazione solare è intensa, inoltre, è possibile trovare batteri capaci di completare l’ossidazione del monossido di carbonio ad anidride carbonica”.
Quali, le implicazioni, di una simile scoperta? Se la presenza dei due metabolismi alternativi, fanno capire i ricercatori, fosse comune a molte aree ghiacciate del mondo, che formano il 10% delle terre emerse, si dovrebbe riconsiderare il “contributo complessivo” dei ghiacci di fronte a fenomeni come effetto serra e riscaldamento globale. Non solo, l’importanza di questi studi aiuta a far capire la correlazione fra ghiacciai ed ecosistemi a valle. I ghiacciai si comportano, cioè, come “frigoriferi naturali”. Gli inquinanti vi vengono conservati “proprio come in un freezer”, tanto che non è raro trovarvi tracce di DDT, nonostate il pesticida sia stato bandito da tempo. “I ghiacciai non sono ambienti privi di vita” così, Roberto Ambrosini “ma ospitano complesse comunità formate soprattutto da batteri. La loro crescita e i loro metabolismi possono avere un notevole impatto sull’annerimento, sullo scioglimento del ghiaccio e sul mantenimento di funzioni ecologiche essenziali per gli ecosistemi a valle”.
La ricerca si è avvalsa delle tecniche più avanzate di sequenziamento del DNA, nonché di tecnologie di supercalcolo. “È il primo studio al mondo ad applicare tecniche di sequenziamento massivo del DNA ai sedimenti sovraglaciali” spiegano alla Bicocca. Un’analisi avvalsasi di “moderne tecniche di sequenziamento e bioinformatica” grazie alla potenza di calcolo di server come quelli del Cineca, consorzio interuniversitario nato nel 1969 come Consorzio Interuniversitario per il Calcolo dell’Italia Nord Orientale e oggi maggiore centro di calcolo in Italia e simbolo dell’innovazione tecnologica al servizio del mondo accademico, istruzione, ricerca nazionale, pubblica amministrazione, sanità e imprese.
Grazie a una dozzina di provette riempite a 2700 m sul ghiacciaio dei Forni e a 5000 m su quello del Baltoro e contenenti materiale estratto da piccole buche nel ghiaccio di origine naturale, coppette crioconitiche, è ora possibile “controllare la carta d’identità genetica dell’intero ecosistema”, ricostruendo il suo metagenoma, ossia il DNA di “tutto ciò che vive sulla sua superficie”. I dati raccolti potranno, inoltre, essere utilizzati per altri studi, fra cui quello dello studio del rapporto fra batteri e inquinanti e la dispersione nell’ambiente di microrganismi resistenti agli antibiotici.
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