Quando il sesso diventa potere: il caso del primario di Piacenza e la dipendenza sessuale “Di fatto, il Primario compiva atti sessuali con quasi tutte le donne che varcavano da sole la porta del suo ufficio. È quanto emerge dalle intercettazioni ambientali che hanno permesso alla Squadra Mobile di Piacenza di ricostruire un quadro sconcertante di violenze e abusi sessuali avvenuti all’interno dell’ospedale cittadino. In soli 45 giorni di monitoraggio attivo, sono stati documentati ben 32 episodi tra violenze, rapporti sessuali completi e atti orali. Il medico, ora licenziato dall’AUSL e arrestato con l’accusa di violenza sessuale aggravata e stalking, avrebbe approfittato sistematicamente della sua posizione di potere per abusare di colleghe e collaboratrici, in un contesto segnato da complicità forzata e omertà.
Quando il sesso diventa una dipendenza
Vicende come questa impongono una riflessione non solo etica e giudiziaria, ma anche psicologica: è possibile che comportamenti così sistematicamente predatori siano dovuti a una di una vera e propria dipendenza sessuale? Quanto trapela dalle cronache non basta a permette ancora risposta univoca. Tuttavia, ciò che appare evidente sono la compulsività e l’ossessività agite dal Primario, dinamiche in cui la sessualità smette di essere espressione di piacere o relazione e diventa strumento di dominio, anestetico emotivo, o risposta disfunzionale a profondi conflitti interiori.
L’ipersessualità come sintomo
L’ipersessualità si manifesta con fantasie e impulsi erotici persistenti e spesso irresistibili, che interferiscono con la vita quotidiana e le relazioni. Per parlare di dipendenza sessuale è necessario che queste pulsioni siano si accompagnino a disagio emotivo e abbiano conseguenze concrete: isolamento, difficoltà interpersonali, condotte rischiose, ricadute sull’ambiente di lavoro e sulla vita familiare. Il Primario di Piacenza convocava le vittime nel proprio ufficio con l’altoparlante durante l’orario di lavoro, si vantava coi colleghi della sua prestanza sessuale e, pur essendo sposato, vantava due amanti ufficiali oltre alle decine di donne abusate. Atteggiamenti tanto sprezzanti del proprio ruolo dirigenziale e del contesto sanitario quanto patologicamente arroganti, che fanno pensare a un esame di realtà gravemente alterato. Diversi studi indicano che, come nel caso di altre dipendenze comportamentali (gioco, shopping, internet), anche la sessualità può attivare i circuiti cerebrali della ricompensa coinvolti nella strutturazione del disturbo psicologico. Dopamina, ossitocina e altri neurotrasmettitori rinforzano il comportamento, creando un meccanismo di ricerca compulsiva del piacere. Tuttavia, nel caso della sessodipendenza, ciò che si insegue non è solo l’eccitazione, ma anche il controllo, l’autoconferma, l’annullamento del vuoto interiore attraverso l’utilizzo etorico di altri esseri umani.
Traumi, identità deviate e narcisismo
Molti soggetti con ipersessualità presentano storie di traumi infantili, abusi o esperienze di abbandono. In altri casi, la compulsione erotica è collegata a un’identità fragile o frammentata: l’amore è vissuto come pericoloso, la sessualità come un modo per tenere l’altro a distanza o negare pulsioni omosessuali non integrate nella personalità. Nei profili più narcisistici, il sesso è uno strumento per dominare, annientare l’altro come soggetto e affermare il proprio potere, anche a rischio di oltrepassare ogni limite morale e legale. Un grande vuoto diagnostico Il DSM-5, il manuale diagnostico di riferimento per i disturbi mentali, non riconosce ufficialmente la dipendenza sessuale come categoria a sé. L’ipersessualità è considerata un sintomo presente in alcune patologie, ma non un disturbo autonomo. Eppure, i casi clinici e giudiziari dimostrano quanto profondo possa essere l’impatto di questi comportamenti sulla vita delle persone — sia di chi li agisce, sia di chi li subisce. Il caso del primario di Piacenza mostra come la dipendenza sessuale, quando si intreccia con il potere, la manipolazione e il silenzio, possa diventare terreno fertile per la violenza. E ci interroga come società sul bisogno di educazione affettiva, sulla necessità di riconoscere, prevenire e curare il disagio psicosessuale prima che sfoci nel danno, ma soprattutto sull’urgenza di fornire alle vittime potenziali e reali strumenti per difendersi o per guarire dalle ferite dell’abuso.