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Il ritorno al lavoro dopo la nascita di un figlio

di Caterina Steri

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Il ritorno all’attività lavorativa dopo la nascita di un figlio costituisce per la maggior parte delle madri il primo vero distacco dal piccolo che, prima nel grembo e poi a casa, è stato perennemente con lei. Ad un certo punto, oltre che dover staccarsi temporaneamente dal figlio, occorre anche affidarlo ad altre figure: gli educatori del nido, i nonni, la baby sitter.

Alcune neo-mamme sono felici di poter tornare alle mansioni professionali. Si rendono conto che il loro non è un abbandono ma un modo di conciliare il nuovo ruolo materno con quello di donna. Sono questi i casi in cui essere madre non esclude l’essere donna e l’essere professionista. Se vissuto in modo tale, il ritorno a casa la sera, nonostante la stanchezza, viene vissuto con gioia e la qualità del tempo da passare con il figlio rimane alta. Se la madre sta bene, si sente sicura e realizzata, trasmette il suo vissuto positivo anche al figlio. Il distacco e i nuovi ritmi possono richiedere dei periodi di “assestamento” sia per la madre che per il bimbo, ma nessun problema che non possa essere risolto con serenità.

Ci sono poi quelle madri per le quali il ritorno al lavoro è molto duro in quanto vissuto come una forma di abbandono nei confronti del figlio. Il senso di colpa potrebbe creare insicurezze. In questo caso, spesso si presenta l’equazione secondo cui essere madre non consenta di essere contemporaneamente donna e professionista. Si possono scatenare delle gelosie nei confronti del rapporto che si crea tra il figlio e le altre figure di riferimento, fino ad arrivare a pensare che la creatura stia meglio con loro che non con la madre.

Alcune donne si sentono escluse dalla vita del bimbo tanto da non sentire lo stimolo di rientrare a casa per accudirlo. Soprattutto quando si rendono conto che il bimbo con la baby sitter non fa i capricci, mentre con loro si. Caso frequente che deve essere visto come il modo di comunicare che il bimbo ha con la madre per dirle che ha bisogno di lei, ma sopratutto che ha bisogno di una figura sicura del loro rapporto e serena che gli trasmetta il suo amore senza metterlo in dubbio.

Stare con il figlio per ventiquattro ore ogni giorno non significa necessariamente amarlo di più o accudirlo meglio. Riuscire invece a dedicarsi anche ad altro, a continuare ad essere una donna con i suoi desideri, le sue ambizioni, potrebbe portare ad un rapporto di qualità con il bambino, in cui entrambi sanno di esserci sempre l’una per l’altro, senza per forza dover rinunciare alla propria individualità. L’amore sano, come sempre detto non implica una totale fusione dei suoi protagonisti. Va bene quindi un certo grado di dipendenza tra madre e figli, ma senza sforare in quella patologica e ossessiva.

Meglio sapere inoltre, di poter affidare il piccolo a chi riesce a farlo stare bene nonostante la propria assenza e puntare tanto sulla qualità del tempo passato insieme.

 

31/01/2014