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Scandalo gas di scarico Volkswagen: quando Greenpeace denunciava i tedeschi

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Volkswagen, la casa automobilistica tedesca nella polvere. Con uno spettacolare tonfo in Borsa dopo le accuse provenienti dagli Stati Uniti – e la confessione di Martin Winterkon, amministratore delegato del gruppo – sulla falsificazione, per aggirare gli standard ambientali, degli scarichi di gas dei veicoli a diesel venduti negli Stati Uniti. Una tegola sulla Cancelleria tedesca, con gli schizzi sul marchio simbolo della Germania dei motori infilatisi come granelli di sabbia negli ingranaggi della famosa perfezione teutonica, inceppandoli. Una grana per il governo di Angela Merkel che tempo fa in Cina – con la cancelliera accolta a Pechino dal primo ministro Li Keqiang con tutti gli onori militari – aveva gettato le basi per “sfruttare tutte le potenzialità del mercato emergente cinese”, spalancando il mercato a Airbus, Lufthansa, Volkswagen, quella Volkswagen che sognava di scalzare la rivale Toyota, strappandole lo scettro di prima produttrice di auto al mondo.

Scandalo Volkswagen, una notizia shock per gli estimatori della casa tedesca, ma che ha fatto da stura a commenti di ben altra natura: “Certo che alla luce di questa notizia mi tornano alla mente” così un utente di un sito specializzato di motori “alcuni fatti precedenti che ora assumono uno spessore diverso: Suzuki che manda all’aria una joint venture piuttosto che usare i Diesel VAG, BMW e Daimler che si rivolgono a giapponesi e francesi per i Diesel piccoli piuttosto che restare in Germania”.

“La questione è di una gravità assoluta e senza pari” così un altro utente “dal momento che non siamo in presenza di difetti derivanti da un errore ma di una manipolazione delle centraline al fine di fornire dati non veri e quindi frutto di una scelta deliberata”. Davanti allo scandalo c’è anche chi invoca, nell’interesse del mercato e dei consumatori, “provvedimenti esemplari” tali da “lasciare il segno sulla pelle dei furbi tedeschi”.

Imbarazzante, dopo le scuse di rito, la difesa di Martin Winterkon: “La Volkswagen non tollera alcuna violenza delle regole o delle leggi”. Dopo lo scandalo, per ora tutto nell’ambito del mercato americano, nell’attesa che si capisca che vetture siano state introdotte in Europa, notizie e annunci di casa Volkswagen vengono ormai prese con le pinze. Una perdita di credibilità immediata, nonostante imbarazzate difese d’ufficio e argomentazioni risibili. Difese e argomentazioni che si sfarinano davanti ad accuse circostanziate: “Usare un impianto di manipolazione nelle macchine per eludere standard ambientali è illegale, nonché una minaccia alla salute pubblica”, così Cynthia Giles, dell’Epa, l’agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti che ha fatto esplodere il caso.

In Germania – mentre dagli Stati Uniti trapela la possibilità che Volkswagen possa pagare salato il trucco – si corre ai ripari. E dire che solo pochi giorni fa al Salone di Francoforte Angela Merkel aveva incontrato i vertici Volkswagen, fra cui Winterkon, ascoltando, ammirata, il racconto sul futuro della casa tedesca dell’auto. “La nostra missione è quella d’essere il motore del futuro”, così Winterkon, il giorno prima che dagli Stati Uniti arrivasse la notizia sulle falsificazioni Volkswagen, con Herbert Diess, del management, a dargli manforte, presentando alla cancelliera la nuova Tiguan GTE, lodandone il potenziale tecnologico con “emissioni di CO2 di soli 42 grammi”, un prototipo presentato da Volkswagen con “propulsione ibrida plug-in, dotata di un modulo solare in grado di alimentare la batteria con corrente rigenerativa e di fornire fino a 1000 km supplementari all’anno in modalità elettrica senza emissioni”.

Facciamo un passo indietro. Volkswagen è membro dell’Acea, l’associazione europea dei produttori di auto amante degli annunci, per dire parole non fatti, sulla riduzione di CO2. E proprio il 26 maggio 2008 alcuni attivisti di Greenpeace, a bordo dell’auto dei Flintstones, i personaggi del famoso cartone animato della Hanna-Barbera, hanno guidato dalla sede dell’Acea, a Bruxelles, fino al Parlamento Europeo cui consegnare una tavola di pietra con i loghi Volkswagen, BMW e Mercedes, denunciando la “dinamica da dinosauri” dell’industria automobilistica, sempre più indifferente al cambiamento climatico, “causato anche dai gas di scarico dei prodotti automobilistici”. Arretratezza mentale e indifferenza, questa l’accusa, contestualmente all’aumento delle “emissioni di gas serra derivante dal settore dei trasporti”.

Nel luglio del 2008, a Roma, con un potente videoproiettore attivisti di Greenpeace hanno, invece, riprodotto sulla Piramide Cestia i loghi di Volkswagen, Mercedes e BMW, nonché la scritta 120 g CO2 entro il 2012!, denunciando, in tal modo, secondo una classifica ufficiale, l’allora livello medio di emissioni dei principali costruttori europei di auto: 188 g/km per Mercedes/Daimler Chrysler, 184 g/km per BMW, 166 g/km per Volkswagen, 147 g/km per Renault, 144 g/km per Fiat, 142 g/km per PSA.

Quell’autunno, a Parigi, Greenpeace fece un blitz al Salone Mondiale dell’Auto, srotolando all’entrata un gigantesco striscione raffigurante la Terra schiacciata dal passaggio di un’automobile, con una cinquantina di attivisti quindi rinchiusisi nell’abitacolo “delle auto più inquinanti, BMW, Mercedes e Volkswagen” e con il messaggio Salviamo il clima: 120g di CO2 entro il 2012. Un blitz per “denunciare il comportamento delle case automobilistiche” che stavano tentando di “sabotare il regolamento europeo sulle emissioni di CO2 dalle automobili”, in approvazione quell’anno. 

“Sotto i riflettori del Salone dell’Auto, infatti, tutti i produttori si presentano come verdi” così Greenpeace “comunicando che i loro modelli sono i meno inquinanti, ma a Bruxelles fanno pressione sull’Europa per indebolire la regolamentazione volta a limitare le emissioni di CO2 delle auto. Greenpeace attacca i costruttori tedeschi, che producono le automobili a maggiore impatto ambientale e ostacolano l’approvazione di un Regolamento efficace. Le critiche, però, non risparmiano le altre case automobilistiche europee, che, nonostante abbiano migliori performance in termini di CO2, continuano a essere solidali con i costruttori tedeschi. Se la lotta ai cambiamenti climatici è la priorità della presidenza Sarkozy all’Unione Europea, una regolamentazione – che limita le emissioni a 120 di CO2 g/km entro il 2012 per la media delle automobili europee e fissa adesso un obiettivo di 80 g/km entro il 2020 – dovrebbe assolutamente essere difesa. Se venisse adottato un compromesso tra Germania e Francia per indebolire il Regolamento, l’Europa sarebbe incapace di raggiungere l’obiettivo di riduzione dei gas serra fissato per il 2020 in base al Protocollo di Kyoto”.

E siamo all’oggi, con Volkswagen nel mirino ora con l’accusa di aver mentito sugli scarichi di gas dei veicoli a diesel, segno che le denunce del passato avevano un fondamento.

 

Per un approfondimento:

Scandalo emissioni “truccate” negli Usa, Volkswagen rischia una multa da 18 miliardi Articolo Tiscali

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