Trattamento dell’acqua di zavorra a bordo nave e uso di combustibili a basso contenuto di zolfo: sono questi i due obiettivi dello shipping del futuro, il sogno dell’Organizzazione Marittima Internazionale, agenzia Onu con sede a Londra. Ma se da una parte ci sono le normative, dall’altra c’è la realtà. Prendiamo ad esempio i combustibili marini a basso tenore di zolfo. C’è il potenziale rischio, così Emanuele Grimaldi, presidente Confitarma, durante la Naples Shipping Week del giugno scorso, che il prodotto non sia disponibile sul mercato, per non parlare della “totale mancanza” di “infrastrutture adeguate” per l’utilizzo del gas naturale liquido, una soluzione non immediata, in particolare in Italia, dove fra gli altri “manca un’offerta adeguata” di tale combustibile, senza contare la “volatilità” dei suoi costi, nonché, contestualmente, “l’incremento di prezzo del low sulphur”.
“Non intendiamo assolutamente eludere l’applicazione delle nuove regole per la salvaguardia dell’ambiente” ha tenuto a precisare il presidente di Confitarma “ma dobbiamo essere messi in condizione di poterle applicare. Su questo punto voglio essere molto chiaro: se l’Amministrazione impone l’utilizzo di un tipo di combustibile, bisogna che il prodotto sia reperibile. In caso di comprovata carenza, non possono essere addebitate responsabilità agli armatori. Tutto ciò senza tener conto che la cura potrebbe essere più dannosa del male, perché si corre il rischio di riportare sulla strada le merci che oggi utilizzano le autostrade del mare. Lo shipping può operare grazie alle norme elaborate in seno all’IMO senza le quali vi sarebbero pericolose distorsioni del mercato e soprattutto livelli di sicurezza e di salvaguardia dell’ambiente marino molto inferiori. L’introduzione delle Convenzioni IMO ha avuto come conseguenza la progressiva trasformazione delle navi in mezzi di trasporto sempre più sicuri, eco-compatibili ed efficienti”.
A preoccupare il mondo armatoriale anche l’installazione in tempi brevi e sulle unità esistenti di sistemi per il trattamento dell’acqua di zavorra. E se in futuro le navi saranno progettate con tali trattamenti come parte integrante – un po’ come i televisori di nuova generazione con decoder incorporato – consapevoli dell’importanza di disporre di un trattamento per la depurazione dell’acqua di zavorra anche sulle vecchie navi, alcuni armatori hanno già adeguato le loro unità alla nuova normativa.
Perché è così sentito il problema dell’acqua di zavorra, garanzia, tuttavia, per una nave di assetto ed equilibrio? Semplicemente perché l’acqua di zavorra è uno dei vettori con cui specie, microrganismi, virus, batteri viaggiano da una parte all’altra del mondo con conseguenze spesso infelici. Per contrastare il fenomeno, in un primo momento l’Organizzazione Marittima Internazionale consigliò di non rilasciare la zavorra se non quando strettamente necessario; d’imporre alle navi un viaggio più lungo, ciò che avrebbe costretto le varie forme di vita a una maggiore assenza di luce; di svuotare le casse in mare con l’imbarco di zavorra fresca, poiché “difficilmente” gli organismi oceanici e d’alto mare” si sarebbero “adattati”, al nuovo ambiente, una soluzione destinata tuttavia a non riscuotere successo: ciò fornirà nuovo ossigeno e sostanze nutritive agli organismi rimasti intrappolati nelle casse, fu l’osservazione.
Oggi lo svuotamento delle casse in mare anziché nei porti e nelle acque costiere, dove è tuttavia prevista la creazione di apposite zone per lo svuotamento della zavorra, è ancora contemplato, così come il flusso continuo, dove l’acqua viene pompata senza sosta. Effettuare lo scambio delle zavorre in mare e durante la navigazione è rischioso, dicono gli armatori, oltre che dispendioso tanto che la tendenza è ormai per il rilascio di zavorra trattata a bordo nave. Diversi i metodi, si va dal filtraggio alla separazione ciclonica, dalla clorazione alla elettrolisi, dal trattamento con raggi ultravioletti a quello con ultrasuoni, dalle scariche elettriche alla sterilizzazione tramite ozono passando per i trattamenti termici e la riduzione dei livelli di ossigeno disciolto. Per quei metodi che ricorrano a sostanze attive, l’ultima parola spetta comunque all’Organizzazione Marittima Internazionale, chiamata a valutarne l’impatto su ambiente, sicurezza della nave ed equipaggio.
La procedura, detta Active Substances and Preparations Approval, è in due fasi, con la concessione di un Basic Approval, quindi di un Final Approval. Il processo di certificazione prevede test di laboratorio, esperimenti su scala reale sia a terra che a bordo nave, esami su acque dalla salinità e torbidità diverse. Ogni sistema, inoltre, deve poter ridurre il numero di organismi vitali, nonché la concentrazione di virus e batteri nei volumi di acqua rilasciata a seguito dello dezavorramento.
A Londra i metodi sottoposti ad approvazione vengono preventivamente monitorati dal GESAMP-Ballast Water Working Group, istituito in seno al MEPC 53 sotto gli auspici del GESAMP Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection, advisory board dell’ONU su aspetti scientifici riguardanti la protezione dell’ambiente marino.
Il PureBallast delle due società svedesi Alfa Laval e Wallenius Water AB, oggi già alla terza generazione, è il primo sistema a essere stato approvato dall’Organizzazione Marittima Internazionale. Commercializzato dal dicembre 2006, prototipi erano stati installati nel 2003 sulla Don Quijote e nel 2006 sulla M/S Aida. Progettato come un blocco unico, ciò che ne facilita la collocazione nella engine room, in base al volume di acqua da trattare, il sistema dispone di una o più unità AOT, mentre un flussometro verifica che la quantità di liquido non ecceda quella prevista in sede di certificazione, fornendo al sistema di controllo principale i dati relativi ai volumi dell’acqua prelevata durante lo zavorramento e di quella rilasciata a seguito dello dezavorramento.
Il sistema si basa sulla Advanced Oxidation Technology, un processo privo di sostanze chimiche, simile a quello delle finestre autopulenti di automobili e grattacieli, dove la crescita degli organismi è impedita da una reazione che si sviluppa allorquando una fonte di luce colpisca un catalizzatore.
Le AOT sono a catalizzatori di biossido di titanio. Colpiti dalla luce emessa da lampade UV, essi innescano una reazione con la conseguente formazione di radicali idrossilici dalla vita brevissima ma di vitale importanza per l’ossidazione di membrane cellulari in ambiente acquoso. Tali radicali, cioè, scompongono i microrganismi e i batteri distruggendone la membrana cellulare, tanto da risultare più efficienti delle tecniche di irraggiamento dove si ha invece la distruzione del solo DNA degli organismi che si vogliano neutralizzare.
Come funziona? Durante lo zavorramento l’acqua viene immessa nel sistema passando, facciamo l’esempio del PureBallast di prima generazione, attraverso un filtro da 50 micron che provvede alla rimozione delle particelle e degli organismi più grandi. Trattata dalle AOT, dove viene liberata da eventuali microrganismi, l’acqua viene quindi trasferita alle casse-zavorra mentre un liquido biodegradabile contenuto in una cleaning-in-place unit ripulisce ciascuna AOT impedendo, come effetto del passaggio della zavorra, la formazione di incrostazioni lungo le pareti.
Prima di abbandonare la nave, l’acqua viene sottoposta a un ulteriore trattamento, senza tuttavia passare dal filtro, ciò che impedisce il backflushing, con conseguente rischio di contaminazione del sito di dezavorramento. Così ripulita, la zavorra viene rilasciata nel luogo di approdo senza alcun rischio per l’ambiente.