Perché l'Australia vuole uccidere due milioni di gatti selvatici?
L’Australia non è un paese per gatti selvatici, accusati di portare malattie e di minacciare la biodiversità, causando l’estinzione di uccelli terrestri, rettili, mammiferi, anfibi, pesci e insetti. Il governo australiano ha promesso di ucciderne 2 milioni da qui al 2020. I gatti selvatici, i feral cats, quelli che vivono fra boschi, foreste, praterie, zone umide e aree aride, sono avvisati.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Gatto © PxHere
Per contrastare i gatti selvatici col tempo il governo australiano ha sviluppato tre esche avvelenate: Eradicat® - che è poi anche il nome di un prodotto statunitense per pulire le armi da sparo e di uno inglese per assorbire gli odori della lettiera dei gatti -, Curiosity®, con tanto di allusione al proverbio curiosity killed the cat, infine, Hisstory®.
La prima si presentava come una piccola salsiccia di carne di pollo e canguro dov’era stata iniettata la tossina sintetica 1080, il fluoroacetato di sodio, che riproduceva un veleno presente in natura in alcune specie di piante dell’Australia occidentale e verso cui molti animali nativi della regione avevano sviluppato resistenza, senza per questo sottovalutare i pericoli per le specie selvatiche no target.
Per progettare e sviluppare la seconda, pensata per ridurre e minimizzare tale rischio, il governo australiano ha investito 5,1 milioni di dollari. Curiosity® è una piccola salsiccia a base di carne e con un piccolo pellet di plastica dura con incapsulata la tossina 4'-Aminopropiophenone o PAPP, che può condurre al decesso. La tossina, infatti, agisce sui globuli rossi, impedendogli di trasportare l’ossigeno e causando pertanto la morte per fame di ossigeno del cervello e di altri organi vitali.
Hisstory® è simile a Curiosity®: si presenta, infatti, come una piccola salsiccia a base di carne contenente un piccolo pellet di plastica dura ma, in questo caso, con la tossina 1080, la stessa di Eradicat®.
Il governo australiano ha spiegato il perché del pellet di plastica: “I gatti non hanno denti molari e tendono a masticare il cibo in modo da poter ingerire porzioni della salsiccia incluso il pellet. La maggior parte degli animali nativi australiani mordicchiano e masticano il loro cibo e tendono a rifiutare il pellet. Il pellet è progettato per dissolversi nello stomaco del gatto e fornire una dose rapida della tossina”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Piano contro i gatti selvatici © Australian Government
Un primo piano per la riduzione dei gatti selvatici è stato allestito nel 1999 sotto l’ombrello dello Environment Protection and Biodiversity Conservation Act. Nel luglio 2015 a Melbourne con una dichiarazione nazionale i gatti selvatici sono stati dichiarati parassiti, considerando la loro gestione una priorità per la protezione e il recupero delle specie minacciate, con un occhio a una migliore custodia di quelli domestici e uno di forzata compassione verso i gatti randagi sparpagliati tra agglomerati urbani e aree rurali e nutriti dall’uomo. Dal 2015 il piano contro i gatti selvatici, che ambisce a ucciderne 2 milioni entro il 2020, è il Threat abatement plan for predation by feral cats.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Piano contro i gatti selvatici © Australian Government
Nel 2015, quando la notizia si diffuse, Brigitte Bardot, icona del cinema francese e presidentessa della fondazione per i diritti degli animali che porta il suo nome, saltò sulla sedia. Uccidere 2 milioni di gatti? Scandaloso, dirà in una lettera del 21 luglio di quell’anno a Greg Hunt, l’allora ministro dell’Ambiente del gabinetto di Tony Abbot, consigliandogli di spendere i 6 milioni previsti per lo sterminio dei gatti in una campagna di sterilizzazione, ricordandogli la collaborazione in tal senso tra la sua fondazione e Vet Beyond Borders, organizzazione veterinaria australiana senza scopo di lucro: “Oltre che crudele, uccidere i gatti è inutile, altri gatti randagi si moltiplicheranno. La mia Fondazione lavora da anni sull’argomento e le garantisco che non esiste altra alternativa se non quella di sterilizzare. I gatti operati difendono il loro territorio ma non si riproducono più. Pertanto, la prego, signore, di devolvere il budget di 6 milioni non per l’abbattimento di 2 milioni di gatti, ma per la creazione di una vasta campagna di sterilizzazione. L’immagine dell’Australia è disastrosa, tra massacri di canguri e di cavalli selvaggi, il suo paese è lontano dall’essere esemplare”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Lettera di Brigitte Bardot a Greg Hunt © Fondation Brigitte Bardot
Alla lettera di Brigitte Bardot al ministro Greg Hunt avrebbe risposto il 9 ottobre 2015 Gregory Andrews, primo threatened species commissioner di nomina governativa – oggi è la dottoressa Sally Box - e di cui si ricorda un’immagine che lo ritrae, sorridente, davanti alla locandina di Feral Cat Scan, una app contro i gatti selvatici.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Gregory Andrews davanti alla locandina di Feral Cat Scan © Sporting Shooters’ Association of Australia
Quanti sono i gatti selvatici in Australia? Nessuno lo sa con esattezza, tanto che sin dagli anni Novanta è tutto un balletto di cifre: 18,4 milioni, 12,5 milioni, 6,3 milioni, 5 milioni, 3,8 milioni, 2,1 milioni. In tal senso il progetto del governo australiano per l’uccisione di 2 milioni di gatti selvatici è stato criticato in un articolo dal titolo Conservation or politics? Australia’s target to kill 2 million cats pubblicato il 19 febbraio scorso su Conservation Letters, rivista della Society for Conservation Biology - dove si accusa il governo di aver varato un piano con una “base scientifica debole” perché, ad esempio, “stime affidabili sulla dimensione della popolazione di gatti australiani non esistevano quando l’obiettivo è stato fissato”.
L’articolo, inoltre, spiega come l’insistenza del governo sui gatti selvatici considerati come unici nemici della biodiversità, rischi di distogliere l’attenzione da altre minacce alla biodiversità come la “diffusa e ininterrotta perdita di habitat” non a caso “ampiamente trascurata” dalla strategia governativa per le specie minacciate: “L’obiettivo di abbattimento è un simbolo altamente visibile di una più ampia campagna sulla ricerca e la gestione dei gatti selvatici in Australia, piuttosto che un indicatore diretto dell’azione di conservazione e del successo. Temiamo che il progresso verso l’obiettivo di 2 milioni possa essere interpretato erroneamente come un progresso verso la conservazione delle specie minacciate, quando il legame tra i due non è chiaro”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Gatto selvatico © AWC - Australian Wildlife Conservancy
Psicologicamente, cosa di cui il governo è pienamente consapevole, parlare di milioni di gatti selvatici che s’aggirano per l’Australia ha un impatto non indifferente sull’opinione pubblica del paese, opinione pubblica su cui da tempo s’addensa l’ombra del feral cat, il gatto selvatico, animale spurio, alieno, portato dai colonizzatori, estraneo alla fauna locale e nel mirino di quello che un sociologo, antropologo e politologo come Nicholas Smith chiama eco-nazionalismo australiano, che punta a una feral-free Australia per rigenerare e proteggere il biota nativo, contrapponendo, così, tutto ciò che è native a feral e viceversa. “Per molti conservazionisti (e molti di coloro che mai penserebbero a se stessi come tali), sbarazzarsi del biota selvatico (e reintrodurre quelli nativi) è un modo per rendere il paese e se stessi più australiani” ha scritto in Blood and Soil: nature, native and nation in the Australian imaginary pubblicato nel 2011 sul Journal of Australian Studies. Nel suo saggio Smith, che oggi insegna Antropologia a La Trobe University, in Australia, ricorda come l’ambientalismo australiano sia una “associazione triadica fra natura, nativo e nazione”.
Già nel 1999 nel saggio The Howl and the Pussy: Feral Cats and Wild Dogs in the Australian Imagination, pubblicato su The Australian Journal of Anthropology, aveva dedicato le sue riflessioni su gatti e cani selvatici nell’immaginario australiano, ricordando, ad esempio, il ricorso nel discorso politico all’immagine del gatto selvatico come elemento impuro ed estraneo.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Gatto selvatico © AWC - Australian Wildlife Conservancy
L’australiano Barry Green, che nel 1996 si è trasferito a Kangaroo Island, nel sud dell’Australia, è direttamente passato al fai-da-te, uccidendo o scuoiando quasi 1.400 gatti, le cui pelli fanno bella mostra nella sua casa in legno, se non direttamente addosso a lui, che di sé dice sono un ambientalista pratico, o alla moglie e sono giacche e copricapi. “Voglio solo liberarmi dei gatti. Non appartengono a questo posto” ha confessato a The Weekly Times. “Sono una specie introdotta e ho fatto il mio dovere per rimuoverli”.
La sua casa di American River sulla costa occidentale di Easter Cove si chiama Feral’s End ed è ormai un’attrazione turistica. Il cacciatore e scuoiatore di gatti col tempo si è, infatti, trasformato in un cultore di cat craft, con i turisti che possono comprare da lui pelli di gatto, sborsando 50 dollari per quelle grandi e 40 per quelle di taglio più piccolo.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Barry Green © The West Australian
Ossessionata dai gatti selvatici è anche Kaye Kessing, scrittrice e illustratrice di libri di bambini australiana e che ama definirsi ambientalista. I gatti selvatici non sono solo quelli delle sue illustrazioni, ma anche quelli finiti nelle sue pentole. Nell’agosto del 2007 si presentò, ad esempio, ad una gara culinaria di Alice Springs, dove vive, con cat-erole, una ricetta a base di gatto stufato e salsa di quandong, la pesca del deserto, un frutto antichissimo usato per secoli dalle popolazioni aborigene australiane: “Il primo gatto che ho cucinato non aveva un sapore forte” dirà “e allora ho aggiunto molti ingredienti con cui ho fatto questo bello stufato”.
Kaye Kessing, che spifferi locali vogliono si diletti anche con gatti arrosto e che un suo amico cucini salsicce con carne di gatto, ha raccontato che quanto a sapore la carne di gatto è un incrocio tra coniglio, pollo e goanna, un lucertolone australiano. Intervistata dalla SBS, radiotelevisione di Stato australiana, ha confessato, invece, di aver ricevuto minacce di morte per aver cucinato gatti, con altre persone ancora che l’hanno minacciata di dare fuoco ai suoi libri.
Fra le tante cose è stata anche accusata di trafficare in pelli di gatto: “Sebbene affermi di essere stata inizialmente motivata dal desiderio di proteggere la fauna locale, ciò non l’ha fermata dal privare le sue vittime delle loro pelli pregiate, il che suggerisce come sia anche una trafficante di pellicce. In effetti, alcune delle pellicce in mostra negli showroom di Manhattan, Beverly Hills e altrove potrebbero essere state fatte con le sue pelli”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Kaye Kessing davanti al suo stufato di gatto © Cat and Camel Cuisine
That feral cat © Kaye Kessing
Il gatto selvatico australiano è anche il protagonista di Feral, opera di Laura Young sulla storia dei gatti selvatici e il loro impatto su indigeni e animali nativi.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Feral © Laura Young
Caccia al gatto selvatico © Sporting Shooters’ Association of Australia
Gatto selvatico © AWC - Australian Wildlife Conservancy
Caccia al gatto selvatico © Sporting Shooters’ Association of Australia
Caccia al gatto selvatico © Sporting Shooters’ Association of Australia
Caccia al gatto selvatico © Sporting Shooters’ Association of Australia
Gatti selvatici © Sporting Shooters’ Association of Australia
Taglio della lingua a un gatto selvatico © Sporting Shooters’ Association of Australia
Gatti selvatici © Sporting Shooters’ Association of Australia
Volpe e gatto selvatico © Sporting Shooters’ Association of Australia
Pelliccia di gatto selvatico © Sporting Shooters’ Association of Australia
Pelliccia di gatto selvatico © Sporting Shooters’ Association of Australia
Gatto selvatico © AWC - Australian Wildlife Conservancy
Gatto selvatico © AWC - Australian Wildlife Conservancy
Gatto selvatico © AWC - Australian Wildlife Conservancy
Gatti selvatici © AWC - Australian Wildlife Conservancy
Gatto selvatico © AWC - Australian Wildlife Conservancy
Analisi del contenuto dello stomaco di due gatti selvatici © AWC - Australian Wildlife Conservancy
Eat the Problem, mangia il problema, è un evento, dal titolo provocativo, dedicato alle specie invasive, inaugurato il 13 aprile scorso, al MONA, museo di arte antica e nuova della Tasmania, il più grande museo e galleria d’arte di proprietà privata dell’Australia, che ospita la collezione di David Walsh, giocatore professionista, collezionista d’arte e uomo d’affari australiano.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Eat the Problem. Courtesy MONA
L’evento, che andrà in scena fino a settembre, è un modo provocatario per invitare le persone sedute a un grande e coloratissimo glockenspiel - il glockenspiel è uno strumento a percussione - che servirà anche da tavolo da pranzo intorno al quale dibattere di soluzioni per la salvaguardia della biodiversità.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Eat the Problem, il grande glockenspiel. Courtesy MONA
E le specie invasive, ad esempio, finissero nel piatto? “Eat the Problem porta in vita la pratica di traformare la merda in oro” spiega Kirsha Kaechele, americana, artista e curatrice della “mostra altamente performativa”, nonché moglie di David Walsh.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Kirsha Kaechele. Courtesy MONA
Eat the Problem, il grande glockenspiel. Courtesy MONA
Eat the Problem, il grande glockenspiel. Courtesy MONA
Eat the Problem, il grande glockenspiel. Courtesy MONA
Eat the Problem, il grande glockenspiel. Courtesy MONA
Eat the Problem, il grande glockenspiel. Courtesy MONA
Eat the Problem, il grande glockenspiel. Courtesy MONA
Eat the Problem, il grande glockenspiel. Courtesy MONA
“Gli ospiti dei banchetti del MONA” ci ha spiegato Emily Philippou, senior media coordinator del museo “saranno trattati con una gamma di piatti - non saranno identici alle ricette del libro, ma secondo principi simili - tutti ideati dallo chef del MONA Vince Trim. Offriamo pranzi di gala con nove portate e piccole pranzi di mezzogiorno. Ogni piatto è presentato in un unico colore”. “Si mangerà anche il gatto selvatico?” abbiamo chiesto. “Non serviremo gatto ai nostri ospiti paganti” ci ha risposto “non è permesso in Tasmania. Naturalmente confidiamo che i nostri ospiti dibattano della questione specie invasive”.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Eat the Problem. Courtesy MONA
Eat the Problem, ricetta di coniglio dello chef Vince Trim. Courtesy MONA
Eat the Problem. Courtesy MONA
Eat the Problem. Courtesy MONA
Eat the Problem, ricetta con marsupiale dello chef Vince Trim. Courtesy MONA
Eat the Problem. Courtesy MONA
Eat the Problem. Courtesy MONA
Eat the Problem. Courtesy MONA
Elena Stonaker, Snake’s Belly, in occasione di Eat the Problem. Courtesy MONA
Elena Stonaker, Snake’s Belly, in occasione di Eat the Problem. Courtesy MONA
Elena Stonaker, Snake’s Belly, in occasione di Eat the Problem. Courtesy MONA
Elena Stonaker, Snake’s Belly, in occasione di Eat the Problem. Courtesy MONA
Panoramica con opere di Elena Stonaker in occasione di Eat the Problem. Courtesy MONA
Elena Stonaker, Snake’s Belly, in occasione di Eat the Problem. Courtesy MONA
Elena Stonaker, Offering, in occasione di Eat the Problem. Courtesy MONA
L’evento è stato anche l’occasione per il lancio del libro Eat the Problem, un compendio surrealista di 544 pagine concepito e curato da Kirsha Kaechele, con il contributo di artisti, fra cui Marina Marina Abramovi?, chef, scrittori, scienziati e filosofi, con meditazioni su mangiare, distruggere e trasformare in arte le specie invasive, fra cui il gatto selvatico, quindi con tutta una serie di ricette a base di tali specie, reali che surreali.
Testo di Stefania Elena Carnemolla
Eat the Problem, particolari del libro. Courtesy MONA
Eat the Problem, particolari del libro. Courtesy MONA
Eat the Problem, particolari del libro. Courtesy MONA
Eat the Problem, particolari del libro. Courtesy MONA
Eat the Problem, particolari del libro. Courtesy MONA
Eat the Problem, particolari del libro. Courtesy MONA