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Battaglia di qualità contro ogm e sementi privatizzate

di La nuova ecologia

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Come è avvenuto per il nucleare, qualcuno cerca di convincere gli italiani che le coltivazioni gm sono una cosa buona e che chi non le vuole è un oscurantista. Più semplicemente noi non le vogliamo nei nostri campi perché ci sono molti motivi per ritenerle inutili e dannose. 

La propaganda pro-ogm si concentra soprattutto sulla possibilità di usare piante resistenti a certi insetti, proposte anche come soluzione ecologica: dato che la pianta transgenica si difende da sola, potrete usare meno pesticidi. Le cose non vanno così. Se nei primi anni tutto sembra funzionare, col passare del tempo, come sempre accade negli ecosistemi, qualcosa evolve. Iniziano ad apparire infestanti e insetti resistenti alle tossine emesse dalla pianta, che diventa più debole. Questa è la ragione per cui oggi numerosi agricoltori statunitensi e argentini stanno tornando all’agricoltura convenzionale. Non per ragioni ideologiche: hanno verificato che le rese diminuiscono mentre i pesticidi aumentano. Malgrado il mais negli Usa oggi sia gm al 90%, secondo i dati del Food & water watch il consumo di diserbanti fra il 2001 e il 2010 è aumentato del 26%.

 

Se i vantaggi sono inconsistenti, sono invece certi i danni alla biodiversità, agli apicoltori e ai coltivatori bio e convenzionali che in questi anni stanno lavorando sulla qualità. Cosa avrebbe da guadagnare il nostro sistema agroalimentare dall’introduzione di sementi standard omologate quando la sua fortuna è legata alla eccellenza e alla tipicità? Come mai Eataly a New York è uno dei posti più visitati dai turisti? Perché Wall-Mart, la più grande catena distributiva statunitense, chiede a Barilla una pasta 100% grano italiano?

 

Ma l’aspetto più intollerabile della proposta ogm è la pretesa di privatizzare le sementi e imporre agli agricoltori logiche di brevetto industriale per un problema – quello della salute delle piante – legato alle complesse relazioni fra la pianta, il suolo e le molte specie che lo animano. Se invece di farsi tentare dagli ogm la si smettesse di coltivare la stessa varietà di mais, anno dopo anno, sullo stesso suolo, avremmo piante più sane e ambienti meno infestati da piralide. Big Farma continua però a fare come Justus von Liebig due secoli fa, quando invitava gli agricoltori tedeschi a lasciar perdere le rotazioni e a coltivare solo la pianta più redditizia perché tanto c’era la chimica, coi nuovi fertilizzanti di sintesi, a risolvere i problemi. Pare che Liebig si sia pentito in punto di morte del suo consiglio. 

 

Per evitare semine ogm, insieme alle oltre trenta associazioni che aderiscono alla task force “Liberi da ogm”, abbiamo avviato una campagna di mobilitazione. Chiediamo a governo e Regioni di garantire che venga rispettato – al contrario di quanto è avvenuto in Friuli – il divieto di coltivazioni imposto dal decreto di agosto 2013. Abbiamo anche costituito un pool per verificare azioni legali contro chi volesse infrangere quel divieto. Soprattutto intendiamo operare a livello di opinione pubblica con banchi davanti ai supermercati e raccogliendo adesioni di aziende, imprese, consorzi e catene di distribuzione.

Ma chi potrà porre definitivamente in sicurezza i nostri territori sarà l’Ue, magari durante il semestre italiano, se, coerentemente con quanto elaborato finora dal Parlamento europeo, darà facoltà agli Stati di proibire le coltivazioni gm sui loro territori anche per motivi di natura socioeconomica.



10/03/2014