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Bonolis: 'Io con le tette: vi svelo la mia parte femminile. L'amore? Ecco perché è un'illusione'

'La lei del libro non è mia moglie Sonia. Il politicamente corretto? Una maschera ipocrita del pensiero malato. La Cancel Culture? Posso dirlo? Una stronzata'

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Una lunga chiacchierata notturna tra un lui e una lei che nel libro si chiamano proprio così, con il pronome personale di terza persona. I due dibattono un po’ su tutto, da come sia giusto crescere i loro figli alle illusioni della religione fino alle mistificazioni del potere e ai tarli della società contemporanea che sull’abuso dell’intelligenza artificiale ha fondato un presente senza memoria e un futuro dove la libertà è sempre più a rischio. Solo che il lui e la lei in questione sono Paolo Bonolis e la sua parte femminile, un lui che si guarda allo specchio scorgendosi una lei e che si provoca, si dimena, non si arrende. Non c’è dubbio, Bonolis sa come sorprenderci. A 60 anni si è scoperto scrittore, debuttando con un’autobiografia diventata best seller (“Perché parlavo da solo”) e ora con un romanzo che si dipana in una sola notte, quasi una pièce teatrale: i dialoghi sono serrati, corrosivi e terribilmente intimi. “Notte fonda” è il titolo, proprio come la notte che la nostra società sta attraversando. E lui, essenziale e semplice in jeans e pullover, in questa videointervista si racconta senza autocensure e mezzi termini. L’imprevedibile e geniale animale da palcoscenico che lo abita quando è in scena sembra essere parcheggiato temporaneamente sul divano accanto a lui. Ti punta gli occhi in faccia e risponde, disincantato e lucido fino all’esasperazione della ragione, ma mai cinico, come invece in tanti lo descrivono.

Ciò che mi ha colpito in questo romanzo è scoprire che il lui sei tu e la lei è la tua parte femminile e femminista. In genere gli uomini tendono a camuffare e a nascondere la loro parte meno convenzionale. Tu invece ci hai costruito sopra addirittura un libro. Come mai?

“La parte femminile appartiene a tutti gli uomini, come quella maschile appartiene a tutte le donne. Poi quando uno diventa antipatico è perché c’è una predominanza caratteriale dell’altra parte rispetto alla biologia. E allora inizi a entrare in contrasto con te stesso. Io uso la mia parte femminile come contraltare di ragionamento. Ho dei pensieri, delle convinzioni ma l’altra parte di me stesso, che fa un po’ da avvocato del diavolo, serve per limare le spigolosità del pensiero che sto proponendo, per cercare di renderlo più fluido possibile. D’altra parte è proprio a questo che serve generalmente l’altro nella vita e cioè a ridimensionarci, a correggerci e a migliorarci”.

In genere, con l’andare avanti dell’età, le persone tendono ad arroccarsi nei propri convincimenti e a mettere a tacere quella parte di loro stessi che fa da contraltare. In te invece sembra accadere il contrario. È così o è solo un espediente narrativo?

“Credo che sia doveroso mettere in discussione anche le proprie certezze più assolute. Sia perché limandole le rendi migliori sia perché è tremendamente divertente farlo. I convincimenti che abbiamo sono abbastanza relativi a fronte di una mancanza di senso dell’esistenza. Insomma ci divertiamo a pensare per passare il tempo. E allora perché non divertirci a mettere in dubbio una certezza assoluta? È un po’ come fa la scienza con le sue ricerche. Io lo faccio con il pensiero. Mi diverto a pensare, a contraddire ciò che penso ed è un modo per continuare a pensare”.

La scrittura è un po’ una droga?

“No, è un esercizio differente rispetto alla parola. Sono 42 anni che parlo ed è un po’ complicato trovare gioia sistematicamente in ciò che fai da 42 anni. La scrittura è un esercizio differente, non ho la mimica, la gestualità e quindi c’è uno sforzo differente”.

Il Paolo scrittore con gli anni potrà prendere il posto del Paolo conduttore?

“Più che altro è il Paolo anziano che sta prendendo il posto di tutti. In realtà non lo so, finché riesco a dievrtirmi facendo tv continuo a farlo. E così con la scrittura. Quando non mi andrà più smetterò. Non sono così ambizioso da voler essere il conduttore, lo scrittore. Faccio quello che mi diverte, faccio lavorare tanta altra gente e intanto passo il tempo e un giorno crepo. Capito come funziona?”.

A proposito di anzianità, leggendo il libro  mi sembra che tu ti senta più anziano della tua età anagrafica. Fai l’anziano o ti ci senti? Hai paura di invecchiare o ti senti sempre più decadente?

“Del tempo che passa non me ne frega niente. Decadente? Siamo tutti organismi in fase decompositiva. Mi piace fare l’anziano per poi sentirmi dire “ma non è vero, sei ancora incredibilmente giovane” e così il mio ego si rincuora”.

Quindi nella tua lei interiore c’è pure un po’ di vanità?

“Tutti siamo vanitosi, abbiamo bisogno di essere osservati dagli altri. C’è chi ne fa un pilastro dell’esistenza e chi un passatempo come me”.

A proposito di vanità, tu che sei sempre davanti alle telecamere e che hai un’approvazione trasversale perché piaci a tutti, uomini donne e bambini non sti sei mai montato lo testa?

“No non mi sono mai montato la testa perché trovo che l’arroganza sia uno dei veleni più pericolosi per rovinarsi l’esistenza e rovinarla agli altri”.

Nel libro parli dell’abuso della tecnologia che noi tutti facciamo. Qual è il pericolo?

“La tecnologia è tremendamente utile all’uomo, dalla biomedicina alla meccanica dei trasporti per cercare di rendere il pianeta meno inquinato. Poi però la tecnologia è anche un mercato e nel mercato una volta che è finito l’utile devi lavorare sul superfluo. Che può essere anche divertente ma deve essere usato e non abusato. Lo smartphone è un meccanismo del superfluo del quale si abusa perché ci piace delegare buona parte della nostra esistenza a un apparecchio che ci portiamo appresso come fosse un polmone di acciaio. Questo purtroppo tende a inficiare lo sviluppo delle capacità dei ragazzi e propongo una legge nella quale non si possa utilizzare lo smartphone prima ei 16 anni per mantenere competenze che abbiamo sviluppato in milioni di anni di evoluzione. Poi dopo lo sviluppo analogico della nostra esistenza si può andare anche verso uno sviluppo digitale. Ma vivere per far crescere una generazione solo in chiave digitale mortificando il resto comporta il rischio che tra due o tre generazioni avremo un mondo di inetti, schiavi della tecnologia e non padroni della medesima”.

Questa legge la faranno?

“Non la faranno mai perché è l’economia che governa la politica e non viceversa. Ma è divertente sentirsi come Tomaso Moro a bordo di un’utopia. Se è il denaro che governa il mondo perché dovrebbe esserci spazio per qualcosa che gli va contro? Non la faranno mai, tranquilla”.

A proposito di mercato, tu nel libro parli anche di quello delle religioni.

“Questo è un libro sulle illusioni, le illusioni della tecnologia, della politica, della religione e anche dell’amore”.

Quali sono le illusioni della religione?

“La religione è una necessità per chi non è in grado di tollerare il non senso della vita- E l’ammorbidente dell’angoscia. Perché devo fare tutto questo? Perché devo nascere storpio e condurre una vita di difficoltà? Perché devo nascere povero? Perché devo fare milioni di azioni ogni giorno e procurarmi da bere e da mangiare? Alcuni hanno capito che potevano esserci delle soluzioni a modici prezzi. E la religione è una di queste. La proiezione in un post-mortem che dà senso a tutto quello che facciamo qua sulla Terra. Se ci comportiamo in un certo modo, saremo premiati dopo. E questo è un mercato, un mercato che torna utile a delle persone per farle vivere meglio. Il problema è che ci sono delle religioni che, per mantenere il loro status di prodotto vendibile, hanno utilizzato meccanismi coercitivi non indifferenti nel corso della Storia. E oggi continuano a proporsi, dopo essersi assicurate il copyright del rapporto tra noi e questo presunto trascendente, come aziende dal potere immenso. La religione cattolica ha uno stato, una banca, ricchezze infinite e inconciliabili con il pensiero stesso, determina la politica di tanti Paesi. Ecco a me sembra abbastanza esagerato che alla base di tutto questo potere ci sia un’ipotesi non verificabile. D’altra parte in Chiesa si recita il “credo” non il “so”. È un’ipotesi che ha saputo imporsi nella Storia con particolare ferocia, violenza, pervicacia. E a oggi questo sottopelle che viene iniettato ai più piccoli fin da subito finisce per rimanere un grande dubbio che temiamo e contro il quale non vorremmo mai andare. Oppure possiamo andarci tranquillamente, tanto dopo basta che ti confessi e passa tutto. Quindi anche abbastanza astuto perché recinta la natura umana ma le concede la possibilità di uscire la sera: basta che quando torna ci dica cosa ha fatto e noi la perdoniamo e la rimettiamo nel recinto”.

Nel libro il contraltare a questo agnosticismo è il pragmatismo della lei, che dice, vabbé ma se mi fa stare meglio che male c’è?

“Appunto, l’ammorbidente per l’angoscia. Ma io vivo serenamente nell’ignorare il motivo per il quale sto vivendo. Per altri invece è un problema e così si prendono un medicinale spirituale”.

 

A volte vieni descritto come cinico.

“Non lo sono per niente, cinico. Il cinismo è come il colesterolo, c’è quello buono e quello cattivo: il cinismo buono porta alla leggerezza e disincanto, quello cattivo all’indifferenza che è tutta un’altra faccenda. Una cosa ha detto il signore di Nazareth che condivido pienamente, “non fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te”. Il resto è fuffa. In queste parole si concentra tutto ciò che è nobile nell’agire umano, il problema è che nessuno lo fa”.

Perché l’amore è un’illusione?

“Intanto nessuno sa cosa sia. Dire “ti amo” più che l’espressione di un sentimento, è il piacere di poterlo dire all’altro, dandogli una soddisfazione e una gioia. Ma ognuno di noi ha un’idea differente dell’amore. L’amore è fatto di pensiero ma anche di quotidianità, difficoltà, differenza di posizioni, di tempo che passa e di evoluzioni differenti delle persone. Per cui spesso è un’illusione perché per mantenerlo vivo c’è bisogno di un profondo senso del dovere”.

E tu non ce l’hai?

“Io ce l’ho. Se vuoi sposarti e fare una lunga vita con una persona, entrambi devono imparare a ingoiare anche ciò che non piace. Altrimenti non ne esci”.

Una delle cose belle del rapporto tra questo lui e la sua lei è la complicità. Potrebbe essere una definizione d’amore la complicità?

“Sì, è una convenienza. Meglio essere complici che vivere di sotterfugi. Il problema è che tutti e due devono essere complici delle azioni e dei pensieri dell’altro. Il che non è sempre facile”.

In questo libro in molti hanno pensato di scorgere nella lei tua moglie Sonia. Tu invece hai detto più volte che non è così.

“Assolutamente, sennò dopo due pagine stavamo a litigare. Su molte cose lei la pensa esattamente come me e su molte altre non vuole nemmeno ragionarci, per cui è tempo perso. No, quello sono io. Sono io con le tette e io senza tette”.

Parliamo invece di un tema che si incrocia con il tuo modo di fare tv e che è di grandissima attualità e cioè quello del politically correct. Tu sei il re di tutto ciò che non è politicamente corretto e ci hai costruito un successo clamoroso venduto all’estero facendo un format su questo. Mi riferisco a “Ciao Darwin” dove le persone ad esempio vengono definite basse e grasse, termini che oggi vengono considerati offensivi.

“Il problema non è ciò che dici ma perché dividi. Già gli antichi romani avevano spiegato che il potere si esercita attraverso il divide et impera. Perciò possiamo dire che il politically correct non c’è da migliaia di anni. La scorrettezza non è nella parola ma nelle intenzioni. A me non interessa di che colore sei, in cosa credi, se sei alto o sei basso, se sei gay, se sei etero, bisessuale, asessuale. Non me ne frega niente. L’importante è che non sei stronzo. Quello è l’unico punto di contrasto che ho con l’altro. Il politically correct è una maschera ipocrita del pensiero malato, un tribunale permanente in cui tutti stanno a vedere nella casa degli altri invece che nella propria. Sempre quel signore di Nazareth diceva di non guardare la pagliuzza negli occhi dell’altro, ma la trave conficcata nel tuo”.

Secondo te questa cultura continuerà a imperversare?

“Anni fa, prima che nascessi io, il mondo celebrava gli eroi, persone che avevano messo in discussione la loro vita per gli altri. Oggi viviamo in un’epoca in cui si celebrano le vittime. In continuazione. Se uno vuole avere un po’ di luce su di sé deve professarsi vittima in qualche cosa. E allora arrivano in soccorso gli altri presunti vittimizzati e tutti in coro a piangere e a costruirsi un interesse. Ed è un meccanismo che crea confusione. Per ché è ero che ci sono delle vittime ma non siamo tutti vittime. E un modo per crogiolarsi nelle difficoltà che si hanno e che non si riescono a superare. Anzi, comincia a diventare un vanto. Un interesse”.

E della cancel culture cosa ne pensi? Ti sembra giusto che capolavori Disney  come “Dumbo”, “Peter Pan”, “Biancaneve e i sette nani” o un classico 'Via col vento siano messi sotto accusa?

“Posso dire? È una stronzata. E ne sono responsabili tutti quelli che continuano a coltivare risentimenti, problematiche, ferite. I problemi che cerchiamo sono cento volte superiori a quelli che effettivamente ci sono. In realtà la vita è bella e infinitamente più semplice”.

 

 

 

 

17/12/2022