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Chi è Greta Gerwig, la nuova Wertmüller del cinema. Tutti i segreti della mamma di "Barbie"

Contemporanea, brillante, comica, amante di Fellini, Buster Keaton e del bianconero.

Foto Ansa

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Greta Gerwig, 40 anni, compiuti lo scorso 4 agosto, è il volto di una generazione che il grande passo lo ha (ormai) fatto da tempo, diventando, anche e soprattutto grazie a Barbie, l’unica donna regista (dato in ogni caso sconsolante) a primeggiare tra gli incassi dei colleghi uomini, posizionando il film al quattordicesimo posto nella storia di tutti tempi, per un totale di oltre un miliardo e quattrocento milioni di dollari nel mondo. Un fenomeno globale, a tinte rosa e fucsia, scritto insieme al compagno, il regista Noah Baumbach, ma che di fatto ha raccontato il personaggio della Mattel da un punto di vista originale, moderno e femminista. Una prospettiva brillante, ma riflessiva, lei che sul tema è sempre stata in prima linea, schierandosi a favore del talento e dell’empowerment femminile, e che adesso è pronta a rilanciare la sfida ai prossimi Golden Globe (nove nomination complessive, tra cui miglior film, sceneggiatura, regia e attori, 
Margot Robbie in primis, e Ryan Gosling) e sicuramente agli Oscar, dove però non ha mai vinto

«Amo la disciplina, rispettare un certo livello di regole, disse in una intervista. “Studiavo in una scuola cattolica, ma talvolta questo ti mostra poi il confine che dopo puoi abbattere. Forse è per questo che da anni pratico il ballo e soprattutto la scherma. Il fioretto è uno sport difficile, ci vuole testa, tecnica, tirando stoccate si impara a difendersi”

La nuova Lina Wertmüller

Figlia di quel modo di recitare libero e indipendente, la Gena Rowlands della Generazione Y (o Millenials) 
del panorama internazionale, in poco tempo la Gerwig ha saputo consacrarsi tra i volti iconici del cinema cosiddetto ‘mumblecore’, caratterizzato da pellicole a basso budget, storie personali e testi spesso improvvisati. 

Ottima sceneggiatrice prima di tutto, lo è stata in Frances Ha e Mistress America, in cui recitava, il salto di qualità è arrivato però con Lady Bird, con Saoirse Ronan, opera prima dietro la macchina da presa, girata sullo sfondo di Sacramento, in California, la città è nata e cresciuta. Una storia che racconta la maturazione emotiva e artistica di 
una ragazza, ribattezzatasi appunto Lady Bird, desiderosa di cercare un proprio percorso fuori da quel microcosmo famigliare e collettivo, ma che poi le rimarrà per sempre addosso.

Un po’ come quell’eroina atipica, la Gerwig è rimasta lontana dai bagliori di Hollywood (e dai social), preferendo lavorare da attrice in maniera defilata, scegliendo oltremodo con intelligenza i ruoli, sconfinando pochissimo nel mainstream, sperimentando semmai attraverso il teatro, il musical, fondando in passato addirittura un gruppo di improvvisazione, The Tea Party Ensemble. 
Non è un caso, poi, che il secondo lavoro (uscito nel 2019) sia virato su un classico d’avanguardia come Piccole Donne, scritto da Louisa May Alcott, nel quale ha voluto riprendere l’epica delle sorelle March e farle arrivare ad un pubblico giovane, che così ne ha riscoperto il valore, l’essere avanti, in particolare pensando al personaggio di Joe (interpretato ancora da Saoirse Ronan) e alla sua ricerca di indipendenza, personale, emotiva e professionale.

In un mondo come il cinema, dove gli uomini dominano, e le registe, fanno fatica a imporsi, a parte casi eccezionali, la sua voce risuona più che mai forte e spontanea delle altre, è un faro da seguire, non solo pensando alle sue prese di posizione, alle sue battaglie da attività e idealista, ma anche per quella boccata d’ossigeno, di cui il Sistema (Hollywood) aveva davvero bisogno da tempo. Per fortuna non è sola, qualcosa sta cambiando in meglio, insieme a lei ci sono altre grandi autrici, Ava du Vernay, Patty Jenkins, la nostra Alice Rohrwacher, Chloe Zhao, Cèline Sciamma, che vanno ad aggiungersi a delle pioniere perennemente sulla breccia come Barbra Streisand, Agnès Varda, Sofia Coppola, Jane Campion, Kathryn Bigelow, l’unica regista ad aver vinto la statuetta nella categoria, o appunto Lina Wertmüller di cui la Gerwig incarna il coraggio, la capacità di osare, l’ingegno nell’uscire da schemi e dinamiche prestabilite.

Curiosità e riferimenti

A ispirarla sono i grandi classici, John Steinbeck, Tennessee Williams, Virginia Woolf, Cechov, ma anche Alice Munro, Elaine Dundy, Maggie Nelson, Italo Calvino, Giambattista Basile, ed Elena Ferrante, le cui letture,  da Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta a L’amica geniale sono state profonde illuminazioni, per la verità dei luoghi e delle persone descritte, che è quello che lei stessa prova a mostrare nel proprio processo di scoperta. La Gerwig è una cantastorie da ascoltare, e se da un lato strimpella a malapena il pianoforte, dall’altro ricerca nella musica e in certe tracce sonore la propria cifra, siano Billy Joel, David Bowie, riferimenti assoluti, così come Alanis Morrissette o i Dave Matthews Band. Il futuro è suo: nella primavera del 2025, se sarà confermato, poi, uscirà un’ulteriore versione di Biancaneve, diretta da Marc Webb, ma la cui sceneggiatura è firmata proprio da lei.

In attesa della stagione dei premi, che potrebbero consacrarne la creatività e il talento indiscusso, Oppenheimer, 
Povere creature! e Scorsese permettendo, sarà lei a presiedere la giuria del prossimo Festival di Cannes, in programma  dal 14 al 25 maggio 2024, l’ennesima testimonianza di quanto sia importante, oggi, e sempre più, il suo sguardo.

05/01/2024