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Fabrizio Gifuni, l'attore più amato dalle donne che portano i mariti a teatro strappandoli alle partite di calcio

L'attore porta Moro ancora a teatro. Impossibile non notare che la maggior parte del pubblico è femminile, però alla fine anche mariti portati a fatica si emozionano

Fabrizio Gifuni lattore più amato dalle donne che portano i mariti a teatro strappandoli alle partite di calcio

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Alla fine di ogni serata di spettacolo il pubblico inizia ad applaudire e sembra non voler smettere mai, decine di minuti di applausi che Fabrizio Gifuni raccoglie in qualche modo ricevendo indietro l’energia che per due ore abbondanti ha dato alla platea, con il suo spettacolo “Con il vostro irridente silenzio”, che è una cosa semplicissima: Gifuni propone lettere e memoriale di Aldo Moro dal “carcere del popolo”. E non ci aggiunge una virgola, nulla.

Con una prova d’attore straordinaria, “ma gli applausi di chi dice “Ma com’è bravo” non sono il mio scopo. A sentirsi dire che si dice bene la poesia, a un certo punto ci si stufa, è come il pavone che fa la ruota”.

No, Gifuni tiene straordinariamente alle parole di Moro, solo di Moro. Eppure, è difficile da credere e spesso dopo lo spettacolo c’è una processione di persone che gli chiedono come abbia scritto un testo così intenso, “e quando spiego che è Moro, solo i suoi scritti e null’altro, non ci credono”.

E’ uno sforzo, emotivo, fisico, geometrico – con il posizionamento dei piedi che è quasi un ulteriore elemento di spettacolo, come nota Andrea Porcheddu che del Teatro Nazionale di Genova che ospita lo spettacolo al Modena di Sampierdarena è il dramaturgo, ma è soprattutto il miglior critico teatrale italiano – quello di Gifuni. E, infatti, alla fine, deve sciogliere le braccia, fare dei movimenti in cui lascia andare i suoi muscoli, quasi catartici rispetto a quello che ha appena messo in scena.

Questo è un esperimento nato quasi casualmente qualche anno fa al Salone del Libro di Torino e, dopo aver visto la reazione quella sera, ho continuato a portarlo in giro in teatro, lockdown permettendo. E ogni sera è diverso anche per me, si fa più fatica che a fare spettacoli assolutamente “fisici” come la recitazione di Gadda o quella di Pasolini arrampicandomi sui tavoli”.

Invece, ogni sera succede una sorta di miracolo teatrale: “Sera dopo sera, le parole attraversano il mio corpo e ne esco con uno stato d’animo diverso. Qualche volta c’è più disperazione, qualche sera livore, altre volte amarezza, altre ancora inquietudine… Leggo e dico sempre le stesse cose, ma non ne esco mai uguale”.

Diciamolo subito: la grande maggioranza del pubblico è femminile e ama Fabrizio sopra ogni cosa. E lui, ridendo, racconta la tipologia di alcuni degli spettatori: “Ci sono molte donne che trascinano a teatro il marito, strappandolo alle partite di Coppa di Roma o Juventus e anche i figli che avrebbero passato la serata con il loro Tik Tok. Alla fine però, anche qualcuno dei più riottosi mi confessa che è uscito da teatro con una testa differente. C’è un respiro comune, una sorta di campo elettromagnetico”.

Insomma, non è uno spettacolo “normale” questo, nemmeno per Fabrizio: “I casi sono due: o il mio è un delirio egotico narcisistico per dirmi quanto sono bravo o c’è dell’altro…”.

Ecco, c’è dell’altro.

Gifuni, di solito riservatissimo, risponde anche a un paio di domande “personali”, non prima di aver ricordato “lo sapete che non amo parlare di cose personali”. E quindi apprezzate doppiamente la forzatura.

Ma è impossibile non ricordare che è sposato con Sonia Bergamasco e che hanno due figlie e quindi la domanda nasce spontanea. Ma le donne di casa sua non sono un po’ gelose di Aldo Moro? “Ormai sono rassegnate” ride Fabrizio che nella vita si è incontrato spessissimo con l’ex presidente della Democrazia Cristiana: l’unica volta che non era lui il Moro cinematografico era in “Buongiorno notte”, il primo viaggio di Giorgio Bellocchio nella storia del rapimento del leader Dc, dove invece c’è Luigi Lo Cascio, suo compagno ne “La meglio gioventù”, perché poi tutto si tiene. In quel film Moro infatti è Roberto Herlitzka.

Ma, a parte questo caso, Moro-Gifuni è quasi un’endiadi: lo spettacolo di cui stiamo parlando, ovviamente; il libro omonimo che Fabrizio ha pubblicato per Feltrinelli, raccogliendo i testi scelti per il suo racconto; la seguitissima puntata di “Atlantide” con Andrea Purgatori su La7; il ruolo di Moro in “Romanzo di una strage”, il film di Marco Tullio Giordana su piazza Fontana e ovviamente la parte del protagonista in “Esterno notte” il film-serie tv con cui Marco Bellocchio è tornato sul caso Moro ottenendo diciotto candidature ai David di Donatello di quest’anno, fra cui proprio quella a Gifuni come miglior attore protagonista.

Fabrizio in curriculum ne ha già vinto uno, quello per “Il capitale umano” e, stavolta, dopo le altre candidature per “Un amore”, proprio per “Romanzo di una strage”, per “La meglio gioventù” e per “La ragazza del lago”, meriterebbe il premio principale.

Eppure, l’approccio è molto più centrato sulle reazioni del pubblico, che su se stesso. E c’è solo un’altra eccezione al comandamento di non parlare di cose familiari: “A Roma nel ’77 si sparava, c’era un clima pesantissimo. Io ero piccolo e in verità, alle superiori, ho vissuto in pieno gli anni Ottanta e il loro riflusso edonistico”.

E qui, facendo un’eccezione che resterà quasi certamente unica, Fabrizio ricorda di chiamarsi Gifuni e quindi racconta anche di suo papà Gaetano, che fu ministro per i Rapporti col Parlamento nel sesto governo di Amintore Fanfani e segretario generale della presidenza della Repubblica, un ruolo importantissimo, al Quirinale con Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi.

Insomma, “c’è una foto che mostriamo nello spettacolo ed è di una forza devastante. C’è il funerale che non è il funerale di Aldo Moro – diede esplicite disposizioni che il suo non fosse un funerale di Stato e che non fossero invitate istituzioni e alte cariche dello Stato e della Dc – ma il funerale della prima Repubblica, con qualche anno di anticipo. Ci sono le facce coperte dalle mani disperate di Andreotti e di altri esponenti democristiani in ginocchio davanti a una fotografia, davanti al vuoto, quasi una vendetta di Moro. Ecco, scorrendo quelle immagini ci ho trovato anche una foto di mio padre e, da un lato, c’è la reazione sempre particolare quando vediamo i nostri genitori in immagini che li raffigurano più giovani di quanto lo siamo noi nel momento in cui le guardiamo…Poi, certo, lui era collaboratore di uno dei pochissimi esponenti Dc, Fanfani per l’appunto, che poi fu ammesso dalla famiglia alle commemorazioni a Turrita Tiberina”.

E poi ci sono mille evocazioni in questo spettacolo: la tragedia greca, come se fossimo di fronte a un Edipo contemporaneo o Moro-Antigone che si rivolge a Creonte-Andreotti o ancora tantissime scene che sembrano prese di peso da Shakespeare.

Ma anche molti riferimenti che sembrano evangelici: il continuo richiamo “ai trentatrè anni di iscrizione alla Dc”, qualcosa che somiglia ad “Allontana da me questo calice”, “Voi mi state tradendo” e ancora “Il mio sangue ricadrà su di voi” e sembra davvero di risentire la Passione della Domenica delle Palme e del Venerdì Santo. E c’è anche la cenere con cui, a inizio spettacolo, Gifuni si transustanzia in Aldo Moro.

Con un’ultima osservazione: “MI ha stupito moltissimo, in positivo, la reazione dei ragazzi, che magari non sapevano nemmeno chi fosse Moro e cosa sono state le Brigate rosse, non è una generazione che vive solo su Tik Tok, non tutti”.

21/04/2023