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Vittoria Schisano, la transizione di genere e la rinascita: “Cosa dico a chi ci vuole far sentire sbagliati”

L'attrice, che sarà la protagonista della serie “La vita che volevo” su Netflix, è determinata e dice come la pensa: “Basta alle maschere che società spesso ci impone”

videointervista a Vittoria Schisano

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C’è un momento in cui si prende coscienza, e si diventa grandi, non solo come persone e professionisti. E questo è oltremodo il “qui e ora” di Vittoria Schisano, lo è per tanti motivi. Nata uomo, nel 1977, a Pomigliano d’Arco, col nome di Giuseppe, ad un certo punto ha deciso di intraprendere la transizione di genere, diventando la donna, quella che oggi si è sempre sentita dentro”, disse in una intervista a Belve , e l’attrice, poi di cinema e teatro, impegnata, divisa in diversi progetti.

Da uomo a donna, un percorso lungo che oggi è fatto di serenità

Un percorso lungo, difficile, ma ora di acquisita serenità, e che ritroviamo nelle sue parole, scelte professionali, storie da raccontare. Perché se da un lato infatti sarà la protagonista assoluta della prossima serie creata da Ivan Cotroneo e Monica Rametta, “La vita che volevo”, prossimamente su Netflix, e quanto mai simbolica, dall’altra, come scrittrice lo ha fatto con due pubblicazioni. In “La Vittoria che nessuno sa”, e poi, in quella che è una storia di formazione, crescita, identità, scritta a quattro mani insieme all’amico e ufficio stampa, Alessio Piccirillo. Un libro intenso, da leggere e immaginare, edito da La corte, che ha già nel titolo una sorta di conquista, Siamo stelle che brillano: una forma di rivendicazione, un punto esclamativo, in termini di libertà, voglia di far sentire la propria voce al mondo intorno pieno di pregiudizi, ma soprattutto un viaggio in cui narra il cambiamento.

Foto Ansa e immagini fornite da ufficio stampa (credit Donato Scardi e Anna D'Agostino)

Un bambino che si sente sbagliato

L’idea del libro “Un titolo ambizioso, vero?”, racconta la stessa Schisano, ospite all’ultima edizione di Cortinametraggio, diretto da Maddalena Mayneri, dove la incontriamo. “Mi emoziona ancora quando lo leggo, anche se è venuto fuori in maniera molto naturale. Raccontiamo la storia di Cristiano, che all’inizio ha 10 anni, è un bambino che si sente sbagliato, perché non capito in famiglia, non ascoltato a scuola, bullizzato dai compagni di classe e che quindi si sente inadeguato. Pensa di non avere il diritto a brillare e invece noi, con questa storia, vogliamo dire l’esatto contrario. Tutti noi, prima o poi, ci sentiamo sbagliati, e fuori luogo, e a noi tutti è stato detto di essere sbagliati. Non è così. Chi vi dice questo sta dicendo una grande cavolata, perché ogni stella brilla a modo proprio ed è questo che rende il firmamento così luminoso, una diversità di colori e di intensità di luci”.

Alessio Piccirillo, il mio migliore amico

E ancora: “Nasce da una profonda amicizia che mi lega ad Alessio Piccirillo, che è il mio migliore amico, ci conosciamo da circa 15 anni, ed è il mio ufficio stampa. Avere il libro tra le mani è come toccare il risultato di un’amicizia così longeva. Ci crediamo molto, dà un bel messaggio di amicizia, parla di quei fratelli, sorelle, che vanno oltre il livello parentale e che diventano la nostra famiglia da grandi. È stato pensato in modo visionario, col nostro modo di scrivere, vivere e viverci, è un libro che si guarda mentre si legge, e in questo c’è sicuramente la volontà di farlo diventare una serie. Tutti i miei traguardi, professionali, umani, partono da un sogno, che poi ho l’ambizione di realizzare, è un po’ quello che diciamo nel libro, soprattutto in questo momento socio-politico-culturale dove quasi ci insegnano a non credere più”.

Quando mi nascondevo sotto le coperte

“Come Cristiano”, dice, “mi è capitato di nascondermi sotto le coperte, immaginare la vita che volevo da grande. Proprio qualche giorno fa abbiamo incontrato un gruppo di 500 ragazzi a scuola. Loro chiedevano proprio questo, il segreto di realizzare un sogno, o per essere felice”. La sua risposta? “È quella di rimboccarsi le maniche, non nascondersi dietro al «sono nata sbagliata» o «non ho avuto i Natali giusti». L’importante è impegnarsi. Cristiano, il protagonista del libro, si rifugia nei sogni, i genitori hanno paura di guardare la sua vera essenza, ed è proprio quando non si vuole vedere che è facile che nasca il pregiudizio, o che si venga magari derisi o bullizzati. I sogni possono essere quasi una salvezza. Il segreto per essere felici è dirci a noi stessi la verità, dare agli altri la possibilità di amarci oppure no, vedere noi e non la maschera che la società spesso ci vuole imporre”. 

Una carriera in progress(o)

Cinema e televisione. Due linguaggi a braccetto, che finora Vittoria Schisano ha esplorato, sconfinando nel doppiaggio. Un debutto, che risale al 2012, il film era Canepazzo di David Petrucci. Da lì le collaborazione con Renato De Maria (La vita oscena), Michela Andreozzi (Nove lune e mezza), Pierluigi Di Lallo (Nati 2 volte), le presenza in miniserie di successo come I bastardi Pizzofalcone, o il teatro, anche, con Femmina!, regia di Pierfrancesco Pingitore. Ora, come detto, l’asticella si alza. C’è un ruolo importante, quello di Gloria, nella prossima serie “La vita che volevo”. Una storia di cui si sa ancora poco, ma che dalle poche informazioni parla di passato e presente, di transizione di genere e relazioni, in cui fare i conti con sé stessi diventa il modo (forse) per ricominciare. “Sto vivendo un momento di consapevolezza, professionale ed umana, è da quando avevo 10 anni che pensavo di fare questo mestiere. A volte non so se lo sto facendo o lo sto immaginando, ma è la risposta ai sogni, perché se studi per questo, il lavoro ti dà i risultati. E questa serie è una grande occasione. Un attore ha bisogno di un palcoscenico, di non vivere aspettando quel momento, ma di vivere intensamente il proprio presente quando, e se arriva”.

La trasformazione nel cinema

“Tante cose stanno cambiando, e così il linguaggio”, conclude la Schisano. “Prima c’era il film a tematica, una cosa che non mi è mai piaciuta. Non credo alle tematiche, non credo nelle ghettizzazioni, ma nella vita, che un grande contenitore e che abbraccia tante esperienze. Mi piace, ad esempio, proprio la politica che fa Netflix, dove si raccontano storie con uomini, donne, persone di colore, o che fanno parte della comunità queer. Perché è la vita, e non esistono compartimenti stagni. Così facendo non pensiamo al ghetto, alla comunità, io credo in una famiglia allargata, fatta di coralità, dove ognuno porta la propria esperienza, unicità, differenza. Ed è lì che la differenza diventa occasione, crescita, arricchimento, mai un limite”.

29/03/2024