Edith Bruck: “Il soldato tedesco che mi lanciò un guanto bucato e le 5 luci che mi hanno salvata ad Auschwitz"

La scrittrice e poetessa, ospite di Fabio Fazio, ha raccontato della sua esperienza di sopravvissuta alla Shoa e parlato di come fermare l’antisemitismo

Foto Ansa 

di Redazione

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"Da 64 anni vado nelle scuole, i ragazzi capiscono, finché ho respiro lo farò". Con queste parole la scrittrice e poetessa Edith Bruck, testimone della Shoah, a "Che Tempo Che Fa" ha espresso tutta la sua determinazione nel continuare a raccontare lo sterminio nazista degli ebrei. Intervistata da Fabio Fazio sul Nove, alla vigilia del Giorno della Memoria, la 93enne ha spiegato perché è necessario ricordare: "Possiamo educare i nostri figli diversamente secondo me, per tutto il male che noi abbiamo vissuto. Non solo noi ebrei, ma anche quelli che lo vivono oggi e lo vivranno domani. Prima bisogna educare i bambini al rispetto di qualsiasi essere umano, di qualsiasi colore o fede. Rispetto totale. Ogni vita è preziosa".

L’importanza dell’educazione

Edith Bruck ha poi spiegato quello che si può fare per arginare l'antisemitismo. "Prima di tutto - ha sottolineato - bisogna educare in famiglia al rispetto totale, non ci sono esseri umani di serie A o C. Poi la scuola dove si insegna poco e male. Da nessuna parte in Europa, in piccola parte in Germania, solo i tedeschi si sono confrontati con il loro passato. Nessun altro paese si è confrontato con il proprio passato, dopo la guerra è stato come nulla fosse successo, questo non ha insegnato molto ai giovani ed è stato tutto taciuto".

Le 5 luci di Edith Bruck

Di origine ungherese, deportata a 13 anni prima ad Auschwitz e poi in altri campi di sterminio: Dachau, Christianstadt, infine Bergen Belsen, a Che Tempo Che ha aggiunto: "Io credo nella vita, il bene torna. Il male torna anche. Fare del bene ti ritorna, fare del male ritorna uguale". Toccante il momento il cui la poetessa ha raccontato le “cinque luci “che hanno vinto la barbarie e che l’hanno fatta sopravvivere. La prima luce fu quando, al suo arrivo ad Auschwitz un soldato tedesco le suggerì di andare a destra anziché a sinistra assieme a sua madre, che infatti morì nel campo di concentramento. Allo smistamento, destra significava lavori forzati, sinistra morte immediata.

“Mi chiamo Edith”

La seconda luce fu un cuoco che le chiese il suo nome: ricordare di chiamarsi Edith anziché 10152, il numero con il quale era identificata, fu un altro segnale luminoso che l’aiutò a sopravvivere. La terza luce fu una gavetta sbattuta addosso da un soldato tedesco con dentro un avanzo di marmellata. La terza luce arrivò ancora dalla misericordia di un aguzzino che le lanciò un guanto bucato. La quanta e ultima luce che le salvò la vita la rapì davvero e letteralmente alla morte. Era a terra, coperta di sangue dopo avere subito le percosse di un soldato tedesco che aveva intenzione di ucciderla. Fu sua sorella a scagliarsi contro il soldato per difenderla e quello restò tanto sorpreso dalla reazione di “questa sporca cagna ebrea” che decise di risparmiare la piccola Edith Bruck.

Il murale a Milano

"Non siamo in un mondo roseo nemmeno oggi. Quindi, prima bisogna educare i bambini al rispetto di qualsiasi essere umano, di qualsiasi colore o fede, al rispetto totale..., ogni vita è preziosa, di chiunque e ovunque", ha concluso la poetessa che, insieme a Liliana Segre, Sami Modiano, ultimi grandi testimoni italiani della Shoah sopravvissuti ad Auschwitz, è protagonista di un murale dell'artista aleXsandro Palombo che commemora l'ottantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau attraverso la Pop Art e il suo rivoluzionario stile Simpsons.

27/01/2025
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