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La musicista che ha suonato per il Papa: "Denigrata, calunniata, picchiata dal mio ex marito. Come mi sono salvata"

"Mi faceva sentire uno scarto, una nullità": anni di vessazioni fino alla violenza fisica e al punto di non ritorno. "E quando ho denunciato la situazione è quasi peggiorata ma alla fine ne sono uscita"

Giuseppina Torre videointervista violenza contro le donne

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Giuseppina Torre, tu sei una musicista, una concertista, ma sei anche autrice di un libro, “Un piano per rinascere. La mia storia dal vivo” che racconta la tua storia. Una storia, mi verrebbe quasi da dire di “normale” tossicità, visto che purtroppo le relazioni tossiche sono estremamente diffuse. Ma in realtà è la tua è una storia straordinaria di liberazione e di rinascita. Perché hai deciso di scrivere questo libro?

Perché era un atto dovuto principalmente a me stessa, perché dopo dieci anni era arrivato il momento che mettessi nero su bianco quello che era stata la mia storia. Attraverso le mie note ho raccontato quello che era stato il mio vissuto, però scriverlo e fissarlo nero su bianco è servito soprattutto a me, per liberarmi di quel peso che mi portavo nonostante il passato fosse stato metabolizzato, le ferite fossero state ricucite. È stato quasi catartico, liberatorio scriverlo. E poi è un atto dovuto non solo a me stessa, ma anche nei confronti di tutte quelle donne che vivono una situazione di violenza domestica oppure sono coinvolte in un amore tossico. Sapere che c'è una via d'uscita, che si può uscire dal tunnel della violenza e rendersi conto che noi abbiamo una forza inaudita, nonostante pensiamo di non avercela. Che poi è proprio quello che era successo a me, pensavo di non avere forza, di non avere la possibilità di rifarmi, di rimettermi di nuovo in gioco, di ricrearmi una nuova vita, e allora mi sabotavo da sola. Essere l'esempio positivo per tutte queste donne che sono intrappolate in una relazione tossica, che ne stanno per uscire o ne sono uscite, ecco questo per me è importante. È come portare una parola di conforto a chi pensa di non farcela”.

Hai scritto il libro per dare una speranza alle donne di poterne uscire, però leggendo la tua storia, ciò che viene fuori è che uscirne è tanto, tanto difficile. Non soltanto perché c'è la difficoltà di riconoscere quella violenza e di rendersi conto che non serve a niente perdonare e dare nuove chance, ma anche perché nel momento in cui hai preso questa consapevolezza e hai deciso di denunciare, ti sei ritrovata da sola o comunque con i tuoi familiari accanto, ma non assistita da strutture o specialisti che lavorano in questo campo. Insomma, la tua storia dimostra che denunciare a volte può non bastare. Quando è stato che ti sei resa conto che l'uomo che avevi sposato era un uomo che voleva sminuirti, che ti ha vessato da un punto di vista psicologico, che ti controllava e che anche da un punto di vista economico cercava di prendere il sopravvento su di te?

“Lui mi faceva sentire uno “scarto” perché questo fa parte dell'attività manipolatoria, no? Era un continuo essere sminuita, essere presa in giro, sottolineare le mie fragilità, utilizzarle contro di me. Per me era ormai la normalità, quasi non me ne accorgevo: ero abituata a soffrire e tutto ciò che era la anormalità per me era invece normale. Poi nel momento in cui invece ti rendi conto che c'è una volontà,  gratuita in un comportamento del genere, nel momento in cui tu ti rendi conto anche del tuo valore, non solo umano, ma anche artistico, capisci che c'è dall'altra parte una volontà proprio di distruggerti, di fare terra bruciata attorno a te a livello di amicizie e di relazioni. Allora è il momento in cui pensi “io da questa storia, devo vivere, non devo più sopravvivere”. La mia vita non era più una vita, era una sopravvivenza. Mio marito mi aveva fatto terra bruciata anche a livello economico. Non si parla tanto della violenza economica, ma è uno dei tanti motivi per cui la donna, non indipendente economicamente, non denuncia”.

Avevi i tuoi guadagni, però dovevi in qualche modo darli a lui?

“Non è questo. Il problema è che i guadagni erano circoscritti, perché io ero sempre, a livello di concerti o quant'altro, relegata dentro dei confini dai quali non potevo uscire. Perché appunto non c’era la possibilità. Mi era stato detto che  non c'era la necessità che io lavorassi perché avevamo una posizione economica molto solida. Sarebbe stato un in più. Ma questo fa parte del piano di isolamento, anche economico, no? Perché ti vogliono rendere dipendente non solo affettivamente, ma anche economicamente”.

Quando hai conosciuto quest'uomo?

“L’ho conosciuto quando ero ragazzina. Parliamo degli anni Ottanta. L'ho sposato dopo 18 anni. Il nostro è stato un lungo fidanzamento tra alti e bassi.

Nell’arco di questi 18 anni, lui aveva dato segnali di aggressività, di questa mania del controllo?

“È stato tutto un crescendo. Abbiamo fatto dei sacrifici insieme per acquistare casa. E appena lui ha avuto un po' di più potere economico, questa personalità è venuta sempre più fuori. Ovvio, c’erano stati dei segnali. Ma bisogna fare un salto nel passato e andare in quell'epoca, in quel periodo storico. La gelosia, ad esempio, veniva considerata come una manifestazione di amore. E poi considera anche l'innamoramento, perché lui è stato il mio più grande amore. E vedere sgretolarsi questo grande amore a causa dei suoi comportamenti, è stato per me un fallimento. A livello personale, mi sentivo una fallita perché avevo investito così tanta energia nel pensare di poter modificare. Mi illudevo che certe dinamiche, nel momento in cui ci saremmo sposati, sarebbero cambiate. C'è sempre quello spirito della crocerossina che vuole salvare questa persona e cercare di farsi amare. In realtà mi sentivo sempre sotto esame. Ero sempre io che dovevo dimostrare qualcosa. E quindi pian pianino abbiamo fatto dei sacrifici insieme, l'ho aiutato. E poi nel momento in cui c'era da raccogliere il frutto di tutti questi sacrifici, io mi sono sentita messa fuori. Ero come una nota stonata. Colei che doveva dimostrare tutto, quella che non era mai abbastanza, che non era mai alla sua altezza.

Di cosa ti rimproverava più spesso? Quali erano queste manchevolezze ai suoi occhi? 

Le manchevolezze erano praticamente qualsiasi mia azione che  si ritorceva contro di me, qualsiasi cosa facessi non era mai giusta, qualsiasi parola io dicessi non andava bene, qualsiasi mio modo di pormi con gli amici non andava bene. Quando rientravamo a casa c'era il processo, il processo della serata:  hai fatto questo , hai detto questo, ti sei messa così, questo così non va, e così via. Tant'è che poi io, col passare del tempo, mi sono chiusa ancora di più. Stavo zitta così non sbagliavo. Ma risultavo sempre un po' troppo controllata nel parlare, nel muovermi. E le persone che mi conoscevano pensavano fossi fredda, altera. C’è voluto tanto tempo e tanto lavoro su me stessa in modo che io tornassi a essere spontanea come ero da ragazzina. 

Quando è arrivato alla violenza fisica?

“nel momento in cui lui non ha più potuto controllare la mia persona, quando io ho iniziato a ribellarmi, a dire no. E cioè quando ho preso consapevolezza delle mie potenzialità, delle mie qualità. Quando alcune coppie di amici hanno iniziato a parlarmi, a dirmi di reagire, di non farmi umiliare. Ho cominciato ad aprire gli occhi e a rendermi conto che c’era un’attività di sabotaggio della mia persona. E poi nel momento in cui io mi sono ribellata e lui non ha più potuto controllarmi. E allora lì si è passati alla violenza fisica che è la punta dell'iceberg perché sotto c'è tanta violenza psicologica”.

Mi ha colpito che anche dopo che lo hai lasciato continuassi a essere sottoposta alla sua sopraffazione psicologica, come racconti nel libro. Continuavi a temerlo, ad averne paura. Ne hai ancora oggi o il fatto di essere andata via dalla Sicilia e essere approdata a Milano ti fa stare più serena?

“Dico sempre che chi ha vissuto queste esperienze tranquilla non lo sarà mai. Però la vita va avanti e non devi fartela più avvelenare da pensieri nocivi. Chi vive delle esperienze così forti, chi ha visto la morte negli occhi, non lo dimentica mai. E quindi cerchi di prendere la vita alla giornata, di non pensarci”.

Siete stati sposati per 14 anni. La violenza fisica è arrivata alla fine?

“Sì, anche se ci sono sempre dei momenti in cui lo giustifichi e ti dici: “Vabbè, mi ha lanciato la cosa in testa, mi ha spinto, mi ha stretto tra le braccia, mi ha scosso, mi ha dato uno schiaffo, ma ci passo sopra, forse stava scherzando”. Però poi la violenza fisica grave è arrivata. E oggi quando vado a parlare nelle scuole dico sempre che uno schiaffo è un segnale, è un allarme perché non si scherza con le mani.

Lui alla fine ti ha mandato all’ospedale. 

“Sì, la seconda violenza. La prima non ho denunciato per paura di ritorsioni, perché sentivo forte la responsabilità rispetto al nostro figlio, rispetto alla nostra famiglia. Però poi quando mi sono resa conto che da quella casa non ne sarei potuta uscire viva, allora capisci che è arrivato il momento di chiudere e di denunciare”.

Tutto ciò si è svolto in Sicilia, in un piccolo centro. E la denuncia non  dico che abbia peggiorato la tua situazione, ma lo ha reso più vendicativo. A quel punto lui ha iniziato a parlare male di te, trovando anche terreno fertile.

“Assolutamente sì, è stata messa in moto una vera e propria macchina del fango contro la mia persona. Io all’inizio ci rimanevo male, dicevano che fossi pazza, che appartenevo a sette sataniche. Ma era tutto architettato molto bene. Era un modo per distogliere l'attenzione dal vero problema che era la sua violenza nei miei confronti. Una vera e propria delegittimazione pubblica che mi ha fatto davvero male perché mi sono ritrovata sulle bocche di tutti. Ma mi ha anche fatto capire che non dovevo avvelenarmi la vita per questo chiacchiericcio: chi mi voleva bene mi è stato accanto. Io avevo quasi vergogna di uscire di casa per pura di “sporcare la reputazione” dei miei amici. Ma in questo sono stata molto rincuorata”. 

Che ruolo ha avuto tuo figlio in questa vicenda? Immagino che all’inizio ossa essere stato il motivo per cui tu hai cercato di portare avanti una relazione tossica e che poi possa essere stato a sua volta bersaglio di atteggiamenti manipolatori nel tentativo di mettertelo contro. 

“Ho provato pure questa sensazione, ho avuto paura di non poter avere più mio figlio con me. Quando ci siamo separati aveva 9 anni. Ma mio figlio è stato sempre libero di scegliermi. Così come non l’ho mai messo contro nessuno. E questa credo sia stata la scelta più giusta perché bisogna spezzare la catena della violenza. Altrimenti sarebbe stato un gioco al massacro e mio figlio ne sarebbe stato vittima perché poi figli vengono utilizzati come arma di ricatto. Così lui è sempre stato libero di frequentare il padre”. 

Anche perché il tuo ex marito non ha mai fatto nemmeno un giorno di carcere, giusto?

È stato condannato ma non è mai stato in  carcere”.

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Giuseppina Torre "Un piano per rinascere"

E la musica? Qual è stato il suo ruolo? 

“È stata fondamentale perché mi sono aggrappata alla musica con tutte le mie forze. La 

Mia isola felice nella quale mi sono rifugiata con il pianoforte, che è stato il mio confidente, il mio compagno. Dico sempre che  mi sono sposata col pianoforte: mi è stato fedele nella buona e nella cattiva sorte. In questo mio percorso di rinascita non sempre tutto è andato bene. Ci sono stati momenti altelenanti e la musica è stata determinante. Sono rinata grazie alla musica perché era la passione che mi faceva sentire viva. Ero spacciata ma grazie alla musica Quando stava per diventare sono riuscita a rimettermi nuovamente in gioco e a ribaltare la mia situazione”

E, oltre all’attività di concertista, è arrivata anche la collaborazione con papa Francesco. Come mai all’inizio avevi pensato di rifiutare?

“Perché mi sentivo vuota, non riuscivo più a ricavare una nota dal mio cuore e dalle mie mani. ma poi ho letto il libro di papa Francesco e ci ho trovato delle parole che sembravano scritte per me. Il papa parlava di chi si sente uno scarto e sostiene che nessun uomo  può far sentire uno scarto un altro uomo. Parlava dei clandestini ma anche io in quel momento della mia vita mi sentivo una nullità. Le sue parole mi sono state di grande conforto e così illuminanti che senza nemmeno dire che accettavo mi sono messa a scrivere le musiche per questo progetto. E mi sono venute fuori di getto. Ed è stato sorprendente poi accorgermi che anche senza aver visto il girato le mie musiche si abbinavano perfettamente al documentario. E quindi sì, posso dire che Papa Francesco è stato fondamentale per la mia rinascita”.

Un ultima domanda. Qual è stato il momento in cui hai temuto di non farcela più e quello invece in cui hai capito che eri libera psicologicamente da questo incubo?

“ Il momento più disperato è stato nel 2016, dopo aver denunciato. Perché è stato davvero un calvario e non mi sentivo più le forze per combattere a livello legale, per affrontare le udienze, per seguire anche la separazione. Per fortuna la mia avvocata è stata fortissima e mi ha sostenuto quando non vedevo una via d’uscita e sentivo le forze vacillare. Il momento in cui mi sono finalmente sentita libera è stato quando sono andata a vivere a Milano. Non che io non ami la Sicilia, anzi, ci torno sempre volentieri, ma per me vivere in quei luoghi era diventato insostenibile. A Milano mi sono rimessa in moto e ni sono sentita di nuovo viva. Puoi anche andare in pigiama al supermercato e nessuno si scandalizza. Ecco, qui  mi sento una fra un milione, finalmente libera”.