Ci sono popoli, nel mondo, che conservano il loro territorio e l’ambiente in cui vivono, facendone luoghi incontaminati. Eppure, sono questi i popoli più vulnerabili, spesso vittime di governi, multinazionali, organizzazioni. La denuncia è arrivata ancora una volta da Survival, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni.
I popoli indigeni, ricorda, infatti, Survival, sono i “migliori conservazionisti” e “custodi del mondo naturale”, come testimoniato non solo dalle tante ricerche accademiche, ma anche da strumenti avanzati come le immagini satellitari, che hanno confermato come essi costituiscano una “barriera fondamentale contro la deforestazione delle loro terre”. Ciononostante, denuncia Survival, essi vengono “sfrattati illegamente” in nome della conservazione.
Il 5 giugno è stata celebrata in tutto il mondo la Giornata dell’Ambiente, un’occasione, per Survival, per riflettere ancora una volta su una piaga non nuova e spesso dimenticata. Tante e diverse le storie di popoli tribali che proteggono il loro habitat, salvo difendersi da minacce esterne. Un appello che Survival, nel raccontare alcune di queste storie, ha voluto lanciare per sensibilizzare ancora una volta l’opinione pubblica. “I popoli indigeni” così Stephen Corry, direttore generale di Survival “sanno prendersi cura dei loro ambienti meglio di chiunque altro, dopo tutto li gestiscono, e ne dipendono per millenni. Se vogliamo che la conservazione funzioni davvero, i conservazionisti dovrebbero iniziare a chiedere ai popoli di quale aiuto hanno bisogno per proteggere le loro terre, ascoltarli, ed essere pronti a sostenerli il più possibile”.
Le storie raccolte da Survival sono affascinanti, e tristi al tempo stesso. Scopriamole.
In Brasile, nella foresta amazzonica nord-orientale, vivono gli Awá. Gran conoscitori di piante – si dice ne conoscano più di duecentosettantacinque –, nonché di più di una trentina di specie di api, a ogni ape associano un animale della foresta, come la tartaruga e il tapiro. Poi negli anni Ottanta, complice il programma Gran Carajás, sono arrivati i taglialegna e gli allevatori illegali, con il risultato che il trenta per cento delle loro terre è andato distrutto.
In Africa centrale vivono i pigmei Baka, la cui dieta è base di miele selvatico e igname, un tubero simile alla patata, del quale non estraggono la radice perché sanno che l’igname selvatico è molto amato da elefanti e cinghiali. Oltre a diffondere l’igname selvatico nella foresta, i Baka sono anche parsimoniosi nella caccia. “Quando troviamo una femmina con il suo piccolo” così la testimonianza di una donna Baka raccolta da Survival “non possiamo ucciderla. In particolare, è severamente proibito uccidere i cuccioli se camminano vicino alla loro madre”. Storie di rispetto, se non fosse, denuncia Survival, che i Baka, come avviene, ad esempio, nel Camerun sud-orientale, vengono “arrestati, picchiati, torturati e persino uccisi dai funzionari forestali finanziati e sostenuti dal gigante della conservazione, il WWF”.
Anche i Boscimani, denuncia ancora Survival, loro che si cibano, e non solo, di piante, subiscono “abusi, arresti, torture” se vengono sorpresi a cacciare per “nutrire le loro famiglie”. A parlare è ancora una volta uno di loro: “So come prendermi cura degli animali, con gli animali sono nato e vissuto, qui c’è ancora tanta selvaggina. Se venite nella mia terra, troverete tanti animali, segno che so prendermi cura di loro, mentre altrove non ce ne sono più”.
Dall’Africa all’India, dove vivono i Baiga. Grandi protettori della loro foresta, il loro nemico è il Dipartimento forestale, ma da quando hanno deciso di studiare un progetto a salvaguardia della loro foresta e della sua biodiversità, la “disponibilità di acqua” racconta Survival “è aumentata e la tribù ha potuto raccogliere nella foresta più erbe e medicine rispetto a prima”. Non solo, i Baiga non cacciano la tigre, animale a loro caro e che considerano la loro “piccola sorella”. Ciononostante essi vengono “sfrattati illegamente e con la forza dalle loro terre ancestrali in nome della conservazione della tigre, mentre i turisti sono ben accetti”. “Le guardie forestali” così, un Baiga “non sanno prendersi cura delle tigri. Se ne vedono una, fanno venire molti gruppi di turisti a vederla. Tutto ciò è davvero dannoso per le tigri, ma i guardiaparco non riescono a capirlo”.
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