"Gli indifferenti": il successo immediato e lo scandalo di una storia torbida come solo Moravia sapeva scrivere
Considerato il primo romanzo moderno del ‘900, fece scalpore con le vicende della madre bella e superficiale e del suo amante volgare. La recensione di Gabriella Carmagnola

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Un successo immediato, ma anche uno scandalo. Con “Gli Indifferenti” (1929, ora Bompiani) Alberto Moravia scrive il primo romanzo moderno del ‘900. Una storia torbida, che ritrae in ogni dettaglio ambienti altoborghesi, animo umano e soprattutto l’assenza di senso del nostro tempo.
Una famiglia in rovina economica, 5 personaggi pirandelliani: la madre bella e superficiale, ha come amante Leo, volgare, calvizie incipiente, continua libidine. I due figli sono rampolli smidollati: Michele, ragazzo con velleità e incapacità di agire - che ha una relazione segreta con Lisa, l’amica della madre - vorrebbe salvare la famiglia ma a lavorare non ci pensa proprio: “pensare era vivere” e tanto bastava. Si chiede chi delle donne di famiglia porterebbe più denaro in casa se sposasse Leo. Chiaro: Carla, la sorella di 24 anni, “bellezza intatta”, che cede a Leo, che vorrebbe impadronirsi della casa di famiglia. Leo chiede a Carla di sposarlo. Lei non vorrebbe, poi accetta, le conviene pensa, il solo problema è come dirlo alla madre.
Ne hanno fatto due film di cui il più recente, con la bravissima Valeria Bruni Tedeschi cambia il finale, lo rende più edificante, che è come dire che cambia la direzione di marcia. Il romanzo invece scende spietato nelle assolute bassezze quotidiane dell’animo umano. “Siamo tutti uguali, pensò, fra le mille maniere di fare un’azione scegliamo sempre istintivamente la peggiore”. E poi ancora. “Ridere, pensava, bisogna che io rida; ma non capiva perché, non sapeva se fosse disgusto o pietà, a vederli là, Leo, la madre, Carla, per la millesima volta, immutabili, eppure così difettosi, seduti a quella tavola.” Un solo spiraglio passeggero di consapevolezza di Michele: “se non avesse saputo vincere la propria indifferenza: senza fede, senza amore, solo, per salvarsi bisognava o vivere con sincerità (…) o uscirne per sempre (…) andare altrove a cercare la sua gente, i suoi luoghi, quel paradiso dove tutto, i gesti, le parole, i sentimenti avrebbero avuto una sùbita aderenza alla realtà che li avrebbe originati.”
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