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Paolo Pizzo: "Come ho sconfitto il tumore al cervello e sono diventato un campione". La storia incredibile che ora è un film

A 13 anni gli viene diagnosticato il cancro ma poi riesce a diventare campione del mondo di spada: "Convivo con la consapevolezza che non sono invincibile e con una cicatrice sulla testa che continua a dare problemi"

Foto Ansa e Instagram

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Paolo Pizzo è fuoco, passione, forza, impegno, ostinazione, rigore e abnegazione. La sua vicenda umana e sportiva, che ha dell’incredibile, è diventata un libro e ora una fiction in onda da domenica 24 settembre sul primo canale. Si intitola “La stoccata vincente” e racconta la vita di Pizzo, ammalato di tumore al cervello scoperto quando aveva 13 anni. Non solo vince la malattia, ma riesce a continuare a coltivare la passione della scherma e a vincere due volte i campionati mondiali di spada (il primo disputato nel 2011 proprio a Catania, sua città di nascita), tre volte i campionati italiani e la medaglia d'argento a squadre alle Olimpiadi nel 2016. Pizzo è interpretato da Alessio Vassallo che non solo gli somiglia fisicamente, ma riesce a infondere nel personaggio una grande carica di verità, emozione, sofferenza e passione. E non è facile quando la persona che interpreti è tuo coetaneo, presente sul set, vicino a ogni passo, con quella storia importante da raccontare.

Pizzo, cosa si prova a vedere il proprio clone sullo schermo?
“E’ come un sogno. Sei dentro un’opera d’arte, una ricostruzione di quello che hai vissuto, una situazione che pare una follia. Alessio, Flavio Insinna (che interpreta il padre e primo coach del campione, ndr) e gli altri attori sono stati così bravi a rendere fedelmente quello che è successo da rasentare la perfezione”.
Mesi di lavoro insieme ad Alessio, allenamenti, alzatacce, quasi in simbiosi…
“E siamo diventati amici. Ci sentiamo spesso e ci confidiamo. Spero che potremo riuscire a frequentarci ancora nonostante tutti gli impegni che abbiamo”.


Una malattia così tremenda te la porti dentro tutta la vita. Come ci si convive? 
“Con la consapevolezza che non sei invincibile, che anche la persona più predisposta alla battaglia può essere abbattuta da uno scossone della vita: ma questa consapevolezza ti dà la forza di andare avanti e di affrontare quello che ti capita. Dal punto di vista fisico, invece, si convive con una lunga e profonda cicatrice sulla testa che continua a darti problemi”.


Come si vede nel film, nella sua vita è stato importantissimo il rapporto con suo padre. Lei com’è con le sue figlie (Elena di 5 anni e Nicole di 3)? Ha fatto tesoro dell’esempio di suo papà?
“Certo, come in tutto quello che faccio cerco di prendere il meglio e di aggiungere qualcosa. E’ stato fondamentale quello che hanno fatto i miei genitori: mio padre era più severo, mia madre più dolce, io cerco di contemperare entrambe le cose con le mie figlie”.


E di essere un padre presente.
“Dopo la nascita della mia prima figlia, ho deciso di sospendere le gare per dedicarmi alla famiglia, sarei stato troppo lontano, in giro per il mondo. Una volta un po’ cresciute ho deciso di riprendere, ma non rinuncio mai alla sera a leggere loro le favole a letto, anche se arrivo distrutto dagli allenamenti”.

L’altro elemento messo in forte luce nella fiction è la rabbia per quel che le era capitato, l’aggressività che da ragazzo non riusciva a controllare.
“Si supera crescendo, con gli anni e ponendosi degli obiettivi. Quando riesci a raggiungere la tua vetta, qualsiasi sia, questo ti dà una grande forza e una grande calma”.

Un esempio per i ragazzi di oggi.
“E spero che questa fiction dia un contributo. I ragazzi oggi sono sottoposti all’idea dominante del successo veloce, ma solo per pochissimi è così, invece bisogna imparare il valore della sconfitta e non c’è niente di meglio dello sport per capirlo. Bisogna allenarsi per essere pronti a quello che può succederti. E se vinci ti devi allenare ancora di più per vincere un’altra volta”.


Alcuni spettatori che guarderanno questa fiction magari avranno quel tumore che lei è riuscito a sconfiggere.
“E io capisco l’inferno che vive una persona che riceve questa diagnosi. E’ uno tsunami, bisogna farsi coraggio per non aumentare la disperazione di chi ci vuole bene”.

Un altro messaggio trasmesso dal film è l’importanza della prevenzione. Lei bambino viene salvato dalla sua sorellina che avverte i genitori che sta male. 
“Sì, è successo proprio così: io da piccolo temevo di dover smettere di fare scherma, per questo nascondevo i sintomi. Per fortuna la mia sorellina mi ha “tradito” e l’ha detto ai miei genitori. E per questo motivo sono anche un testimonial dell’Airc (Fondazione italiana ricerca sul cancro): bisogna aver fiducia nella scienza”.

Lei a 40 anni ha vinto tanto, cosa sogna ancora?
“Mi piacerebbe chiudere la carriera a primavera raggiungendo il record di quattro vittorie nei campionati italiani (ora ne ha tre). Poi continuerò nel percorso da allenatore e da mental coach”. 

15/09/2023